Friday 7 February 2014

In a different time




In un’altra epoca saremmo stati liberi. In un’altra epoca, ci saremmo innamorati. Avremmo avuto figli, avremmo litigato per le cose più banali. Ci saremmo incoronati a vicenda con spine invisibili ed avremmo proclamato fede nell’infinito. L’universo non è infinito. Non oggi. L’universo è pieno di frontiere più solide delle pareti di questa nave. E’ facile affondare.

[Safeport, febbraio 2516]

Non ci sono macchinari a monitorare l’attività cerebrale, o cardiaca. Quattro volte al giorno passano con uno specchietto. Il respiro opaco sulla superficie lucida è un segno di vita sufficiente. Adam Clarke si alza stancamente dalla sedia, sente le giunture cigolare in protesta. Si sporge sopra il corpo della ragazza minuta i cui capelli raggiungono ormai la base del collo. Capelli scuri come la terra che hanno perso: ha tagliato via le strane punte ossigenate. Ogni sera la pettina, la lava, le parla. A volte si limita ad accendere le cortex news, ma la maggior parte delle volte il cuore gli si stringe dopo un servizio o due, costringendolo a spegnere. E’ una gelida sera di febbraio, a Safeport. La ragazza minuta e senza nome l’ha seguito come una maledizione, di campo in campo, fino all’infermeria. Fino alla sconfitta. Quando è stata consegnata alle sue cure qualcuno era già riuscito a perderne la targhetta militare. Adam passa le dita fra i capelli della sua paziente più fedele. Ha smesso di chiedersi se si sveglierà, un giorno. Ne studia i tatuaggi sul braccio, sorride senza convinzione. Si ricorda di tutte le volte che ha preso i fondelli il fratello Jack per essersi tatuato il nome sulla schiena. Sulla schiena, la ragazza ha solo un’aquila. E’ diventata l’aquila dormiente dell’infermeria.

Qualcuno chiama il sergente medico Clarke dal corridoio. “Second!” ringhia l’infermiere fra i denti, coprendo il corpo della paziente con una coperta di lana in più. E’ quando fa per girarsi che un movimento insignificante della mano della paziente lo fa sobbalzare. L’attenzione si fionda sui suoi occhi. Non ne ha mai visto il colore. La ragazza minuta digrigna i denti aprendo le palpebre, nemmeno stesse sollevando una saracinesca di piombo. Sfuocato davanti a lei ondeggia un infermiere sulla trentina, scuro, impietrito.
“…Hm.”
“Hey. Hey, piano. Non ti affaticare. Sei nell’infermeria di Safeport, sei al sicuro.”
“…Hm.”
“Sono qui con te.”
Adam Clarke prende la mano della ragazza, ritrova una vecchia amica dentro una crisalide spezzata. Adam Clarke imparerà che non bisognerebbe mai innamorarsi di chi non si conosce.
“Ti ricordi il tuo nome?”
Le pupille si restringono, gli occhi si aprono con una fierezza rapace. Come se l’intera anima fosse stata catapultata nel corpo tutto d’un colpo, centrandolo perfettamente.
“Certo che mi ricordo. Abbiamo vinto la guerra?”

In un’altra epoca, avremmo mentito. Ma arrivi alla fine di un periodo così, che non ti restano nemmeno le bugie in tasca. Non hai più niente da dare.