La tenda sostiene a fatica le granate d'acqua. La pioggia si fa più fredda di giorno in giorno, ed i mantra masticati in un disperato tentativo di restare sveglia avrebbero bisogno di una passata d'olio. Cigolano. Ho sangue fra le mani da sempre
Eamon Taylor le ha ordinato cinque ore di sonno. Lei ha chiuso l'occhio e continuato a lavorare con l'altro. Uragani di cenere hanno devastato lo spazio immobile. Sente le grida, spegne il cortex. Lascia gli incubi agli ammiragli, ai capitani. Prende ferita per ferita, perchè non può ricucirne più che una alla volta.
Ho sangue fra le mani da sempre
L'hanno piazzata al delta di un fiume chiedendole di fermare l'acqua con un secchio. Da sempre.
Dorme da sola la notte, adesso. Nessuno è abbastanza coraggioso da bussarre alla sua schiena di granito. Nessuno abbastanza insolente da scaldarle la periferia del cuore, su questa nave così vecchia, così estranea. Nessuno abbastanza vicino da provarci.
Ricorda l'esatta inclinazione degli angoli della sua bocca. Cinque virgola sette gradi. E' l'inizio del sorriso dei santi, le avrebbe spiegato Eamon Taylor, se lei non si fosse seppellita sotto un un camice di silenzio ed un mare di bisturi galleggianti. Piovono monete, pensa, mentre fissa il telo della tenda tremare, mentre inpira l'odore di croste, alcol e fango.
Le mani nella testa di Renee Bolivar.
Le labbra incastrate fra quelle di André Vandoosler. I piedi
attorcigliati intorno a quelli di Moloko Cortes nel sonno tormentato
della cabina 9d. Ricorda il sapore del sangue sparso nella polvere,
di ogni millilitro di sangue che le hanno fatto sputare. Il quadro,
ed il peso invisibile fra le mani. Piena di spine. E' piena di spine,
Mordecai Adler. André Vandoosler sottolinea l'ovvio.
E' notte ed è giorno, perchè la mente
umana è possente e sposta il tempo come la più cocciuta delle
bestie da soma. E' notte, e la muraglia di cuscini e coperte è
stata abbattuta verso il fondo del letto dal sonno agitato di
Anchorage ed Argo. Hanno spezzato le barriere, ed i piedi delle
ragazze si sfiorano con la stessa delicatezza con la quale si bussa
alla porta dell'anima. E' giorno, nel sonno disperso del medico di
bordo. Le pupille si agitano frenetiche sotto le palpebre chiuse,
scansionando l'orizzonte vuoto, riempiendolo delle proprie paure. E'
nel deserto, i piedi affondano nella sabbia. Helena si disperde, in
alto, nella condensa di sole. Il cielo è limpido ed impietoso. Sono
nel centro di Atacama, e la statua di legno è bruciata mille anni
fa. Amare non era così difficile nell'epoca precedente alla
definizione del cuore. I piedi si piantano, si fermano. La schiena si
china e s'incrina, seguendo gli scatti sconnessi della decomposizione
incosciente. Le immagini ruotano rapide nella pulsazione invisibile
dell'iride. Mordecai Adler non è crocefissa, ma è la croce stessa.
Un'architettura selvatica e piena di spine, piantata come un pugnale
nel centro di un cuore alla mercè di tutti. Un cuore aperto come il
deserto. Più vi conficca le proprie radici crudeli e più è sicura
di resistere alla tempesta. Più gli è vicino e più lo ferisce.
Gli occhi si spalancano all'improvviso,
l'odore ferroso del sangue forte dentro le narici. Il cuore pulsa fin
nelle tempie. Sono le otto di sera ed ha dormito tre ore, dopo aver
passato le ultime trenta a sequestrare sacche di sangue e vegliare su
Renee Bolivar. Scende dal letto barcollando, come se qualcuno avesse
aperto una finestra, sguainando una corrente d'aria pericolosa per il
soldatino di cartavelina. Esce dalla cabina, diretta verso la
sickbay. Lascia il materasso, il quadro, il peso invisbile, le
moltiplicazioni della presenza incrostata di Cortes, André
Vandoosler crocefisso sulle spine. Anche il deserto è pieno di spine.
So your mouth tastes like sunshine / Baby but your eyes / Are all cool / Buried in my arms / And the breeze takes us deeper and further into / The heart of the moment that is gone
And the scent of your heartache / Baby and the taste / Of your blood / Run within me / And there are red flowers in your spit / When you enter my mouth / Under the bed / Down on the floor
So take me under the floorboards / I would love to feel like wood / And take me back to the retards / 'Cause this world just make me sick / There are colours in the air / When I fall to the ground / How we'd love to fall more often
Tennessee Miller trascina le
stampelle nella sabbia della strada. Le appoggia, facendo forza sulle
spalle stanche, si solleva, trascina l'unico piede nella sabbia. Lo
appoggia, cercando l'equilibrio. E trascina le stampelle nella sabbia
della strada. I cancelli di Villa Adler si avvicinano con una
lentezza frustrante. Le pareti, una volta squadrate e pulite, sono
state rosicchiate dai proiettili, e il nero sudato dalla pietra
durante l'incendio del '09 non è mai stato scrostato. Il ferro dei
cancelli è arrugginito, il giardino assomiglia ogni anno di più al
Takla Makan.
La porta si apre bruscamente, ma lo
spiraglio è limitato, frenato dalla catenina all'interno. Gli occhi
liquidi di Tennessee si alzano sullo spettro nel buio nella casa.
Clara Adler gli sta dritta davanti. Le rughe sembrano canali per la
durezza, la severità non è caduta così in basso quanto le spalle,
che sopportano male il peso degli anni. I capelli bianchi sono
raccolti sulla nuca, a tirare indietro la pelle delle tempie e della
fronte. Con il sospiro tipico di chi si è arreso secoli fa, sgancia
la catenina senza salutare, e si sposta indietro seguendo l'arco
tracciato dalla porta lungo il suo perno. Tennesse avanza con la
tenacia dei portatori di fiaccole nella tempesta.
-She home?
Le labbra di Clara sono percorse da un
guizzo ispido, freddo.
-Where else should she be?
L'uomo appoggia le stampelle sullo
stipite, e si solleva dentro la villa. Appoggia il piede, cerca
l'equilibrio, appoggia le stampelle. Inspira l'odore che impregna
l'aria, le pareti i mobili. Socchiude gli occhi.
Helena, Spartaca, agosto 2502
-Siamo morti. Siamo morti. Anzi,
torturati e morti.
Tennessee, 16 anni, si regge la testa
mentre barcolla dietro a Mordecai mentre la notte ancora cerca di
tenere nascoste le loro misfatte. Ma l'alba lampeggia pericolosa
all'orizzonte, scivolando innamorata sul profilo di Atacama.
-Shhht.
Lo zittisce Mordecai. Indica la porta
principale. Si guardano, le teste ancora zuppe di sputo di falco.
Miller ride. Ride di gusto, mentre
scuote la testa.
-Si entra sempre dall'ingresso
principale, e si accettano sempre le conseguenze..Tennessee Miller.
Il fiato spezzato di Mordecai risveglia
fra le dita del ragazzo l'irresistibile bisogno di passargliele sulla
nuca, fra i capelli corti e le piume rovinate. Avvicina il viso al
suo, ansimandole fra le labbra vapore d'alcol. Ne spinge le scapole
contro il legno sontuoso dell'ingresso, mentre la mano della
ragazzina cerca la chiave nella tasca. Le infila nella toppa, senza
guardare. Gira. Lo scatto della serratura blocca ogni terribile
intento di Miller. Schiudono la porta, sfilano gli anfibi pieni di
sabbia ed avanzano in punta di piedi. Le facce portano ancora i segni
neri della pittura da guerra, ed ogni scalino ha una terribile
tendenza a sdoppiarsi, quando i piedi cercano di tenerli al loro
posto per salirvi. La scalinata sembra eterna. Il tappeto, il legno,
la pietra e le pareti hanno orchestrato una sinfonia di odori che
mozza il fiato e catapulta la mente nel grembo dei grandi saggi e
delle leggi incise sulla pietra. Non è odore di casa. E' odore di
Spartaca.
Almost Home, Bullfinch, Luglio 2515
-Cinque per due? -Dieci. -Cinque per tre? -Quindici. -Cinque per quattro? -Kay, sono le sei del mattino e siamo
sverse e... -La risposta esatta è venti.
Sono nascoste dalle coperte, perché la
lana isola il rumore ed i mugolii spassionati di Moloko quando
ridacchia, e le istruzioni severe ma parecchio trascinate di Adler.
Ai loro piedi, nascosti anche loro, Anchorage ed Argo dormono
pacificamente. -Devi smettere di contare uno ad uno,
Moloko Cortes. Devi fidarti delle regole.
Il sorriso spaccato della solo rivela
qualche dubbio in merito. L'odore di cane e di stoffa calda e di
respiro umano e di alcol è pesante, viene ingoiato a cucchiaiate sui
cui bisogna soffiare sopra, come la zuppa bollente. Mordecai si
zittisce, ruota la nuca indietro, la faccia direttamente nella
coperta, come se indossasse una maschera magica. Respira dentro le
fibre, tirandosi la lana contro le narici. Non ha mai sentito un
odore così forte.
Helena, Spartaca, luglio 2515
Tennessee Miller apre la porta con
cautela. Si trascina verso la grande finestra, che rilascia sulla
stanza un oceano di luce opaca. Le tende non sono state smontate
dalla guerra: sono state tirate giù dalla disperazione. La figura in
profilo sulla sedia a rotelle sembra una statua malpiazzata. Ruota la
testa verso di lui lentamente. Un crepaccio grigiastro divide le
labbra in un sorriso instabile. La voce dolcissima si arrampica a
fatica fuori dalla gola -Tennessee.
-Miss Adler.. -Stella. Ti prego, Stella.
Ogni tensione sul volto dell'uomo
sembra allentarsi. Si ferma a pochi passi da lei. Le spalle sono
muscolose, mantenute compatte dallo sforzo di doversi tirare dietro
il resto del corpo. Ogni giorno, da quando una delle sue fondamenta è
rimasta a marcire in una trincea di Serenity. -Siediti.
Mormora Stella, indicando una delle
sedie di legno che circondano il tavolo annerito. Tennessee molla le
stampelle, s'appoggia alla sedia e se la trascina contro, crollandovi
sopra. Quindi cerca di portarsi più vicino alla donna. Gli occhi
chiarissimi di lei lo fissano, scivolano sul suo volto carichi di una
tristezza che non riesce a spacciarsi per amore.
-Sei ancora così bello.
Scuote il capo, i capelli biondi che ne
seguono il volto spettrale in onde dorate. Di ciò che è nascosto
sotto lo spesso scialle di lana nera, si intravede solo la punta di un
ginocchio ossuto. La sua mano sottilissima scivola piano
verso la gamba destra di Tennessee. O quel che ne resta. L'arto si
interrompe una spanna prima della giuntura del ginocchio. Miller
chiude gli occhi di nuovo, ingoiando il buio e la luce rosea,
impertinente che le palpebre non riescono a catturare.
Saint Lucy, Serenity Valley, Hera,
febbraio 2511
Vede le stelle. Sono milioni, e sono a
portata di mano. Nitidamente a portata di mano. Ha la bocca
spalancata, ma l'ultimo urlo è stato emesso molti minuti prima. Il
volto è fradicio di sudore, la dose di morfina elargita è stata
appena abbastanza potente da intaccarne la percezione della realtà.
La figura che lo aggira di continuo si interrompe d'improvviso, e
gira la testa verso di lui. Gli occhi di Mordecai Adler sono liquidi,
lucidi, in tutta la loro impassibilità. Ne è certo, è sicuro di
averla vista con laghi nelle orbite. -Fermo. Questo comporterà estremo
dolore, Tennessee Williams. Perderai i sensi.
Il respiro affannato del soldato è
instabile quanto il suo sguardo. Cerca appigli, ma non ne trova. La
materia si agglomera, si scioglie, si unisce, trema. La mano del
capitano Adler è ferma appena sopra il suo ginocchio. Il piede già
nero, i petali di granata ancora conficcati nel polpaccio, nella
caviglia. Uno al centro del ginocchio. La carne è stata operata con
tenacia, separando i muscoli, i tendini. I nervi. Ma nessuna garza
regge, il tamponamento è similie ad una fila di sacchi di sabbia a
guardia di uno tsunami. Affonda la mano sulla sua pelle, un dito
scivola contro la carne viva. La spalla inarcata, la destra scivola
indietro. I denti della sega metallica tagliano la prima tacca dentro
l'osso. Le galassie sono sempre piú vicine. Sono dentro il sangue.
Helena, Spartaca, agosto 2502
La luce di Columba è rosa, e li
accarezza dolcemente. I corpi sparsi nel letto all'ultimo piano di
Villa Adler cercano di riassumere il contenuto di ogni respiro con
movimenti impercettibili. Le nocche di Tennessee scivolano sulla
guancia di Mordecai, mentre respira l'odore del mattino gelido dalla
finestra spalancata. Sorride al soffitto, il suo amico. Sfiora il
profilo della ragazza con lo sguardo. Nella mano, stringe la loro
catena. Sta per dire qualcosa di incredibilmente romantico e poetico,
quando i passi nella scala tranciano il fiato ad entrambi. Gli occhi
sgranati di Mordecai cacciano Tennessee sotto il letto, appena
qualche millisecondo prima che Clara Adler spalanchi la porta senza
bussare. Gli occhi grigi ed impassibli quanto quelli di Juste
Montgomery la squadrano. Annusa l'aria, fissa la finestra spalancata.
Non commenta. -La macchina è pronta fra mezz'ora. La
tua tunica è nell'armadio. Ripasseremo i canti stradafacendo.
Un cenno militare del mento, quindi
sbatte la porta. Da sotto il materasso si espande una risata aperta,
esausta.
Mordecai Adler rientra alla nave mentre nei corridoi metallici regna il silenzio. Si sbriga, attraversando quello principale fino alla cabina 9g. Ne apre la porta con discrezione, in caso Renee Bolivar fosse lì. Invece, incontra lo sguardo di Argo, lucido e felice nel buio. Liberandosi d'un colpo di tutti gli spilli che hanno tenuto le labbra ferme durante la sera, scolpisce fra gli angoli della bocca qualcosa di molto simile ad un sorriso. Batte le mani e lo attira a sè facilmente. Lo carezza piano, quindi, tenendoselo dietro, richiude la porta della cabina e se ne torna verso la propria camera, portandoci dentro il dogo. La mattina, se qualcuno dovesse chiederle se l'ha visto, scuoterà il capo con estrema serietà.
Il cielo ruota lentamente sopra le loro teste, chiazzato di sangue violaceo dal giorno macellato, graffiato dagli artigli della notte in arrivo.
-Sacred is the blood
-Sacred is the fight
-Sacred are the lungs
-Sacred is the night.
Tennessee Miller si ferma, il fiato a mezz'aria in una nuvola di fumo. Ha un cimitero di sigarette spente sul fondo nero dei polmoni. Con le dita tremanti regge l'ennesima cicca, studiandone i contorni contro la luce pesta. Ha leoni nascosti fra le costole, a guardia di un cuore selvaggio, inadatto, fuoriluogo.
-Your heart is the most sacred place
-You keep it secret, you keep it safe
-Your hands do what you are
-Become your action, hold your scars.
Mordecai si ferma. Porta catene di piume nei capelli cortissimi ed indossa un cappotto nero sporco di sangue asiatico. La nuca è poggiata sulla sabbia fredda, gli occhi seguono la schiuma del cielo attraversata dagli archi di Silke. Ha la sensazione netta ed intensa che gli occhi stiano affondando nelle orbite, come se si dovessero ritirare nel cranio e salutare la morte. La musica è così forte da riuscire a far vibrare i loro polmoni e suonare le costole come xilofoni. I tamburi, i violini, le bacchette picchiano sui timpani fino a strappare la delicata pellicola che separa le menti dalla realtà. Galleggiano a due spanne dal centro della terra, volano con le scapole inchiodate al muro. Le voci lontane ne chiamano i nomi. Tennessee Miller volta il capo lentamente ed appoggia l'orecchio sulla sabbia. Sembra che sia Spartaca stessa a parlare a Mordecai infilandosi nella testa del ragazzo, passando per il suo sussurro.
-It's time.
Si alzano barcollando, le vene zuppe del liquore già ingoiato. Affondano passi sconnessi verso la tenda chiusa annaspando nella colla di ossigeno, impigliandosi negli ultimi raggi rosei tessuti da Columba, il grande ragno di luce. L'ingresso sorvegliato da due renaes si avvicina ondeggiante. Si guardano, soffocando un mugolìo fra i denti e gli angoli piegati della bocca. L'adrenalina densa fra i molari, un blocco di granito nero nello stomaco. Tennessee rallenta, lasciando che Mordecai passi per prima. Spezzano un altro ghigno complice, ingoiando visioni segrete. E' Adler ad avvicinarsi per prima al grande catino argentato. Lì la attende Juste Montgomery, la più bella donna che abbia mai calpestato la sabbia di Atacama. L'aura vibrante dello stato pre-allucinatorio le danza intorno come una gloria. I suoi occhi sono grigi, infimi e potentissimi, le labbra richiamano prima la lingua e poi i denti come domatrici esperte. Indossa una lunga tunica bianca ed al fianco porta una spada il cui pomo è grande quanto la testa di Adler. O quasi. Si deve chinare per poter prendere il viso di Mordecai fra le mani. Le vertebre sorgono come pinne minacciose lungo la linea della schiena inarcata. Preme la fronte candida e fredda contro quella bollente di Mordecai, fino a farle digrignare i denti. Le parla fra le labbra, ed ha il gusto e l'odore della camomilla selvatica.
-My heart is an army, and this is a war.My heart is an army, and this is a war. My heart is an army, and this is a war. My heart is an army, and this is a war. My heart is an army, and this is a war.
Mordecai inizia a ripetere le parole dopo di lei, con lei, dentro il suo respiro. Ripete ancora, ancora, ancora. My heart is an army, and this is a war. My heart is an army, and this is a war. Juste l'aggira, la mano posata sulla sua nuca, le dita fra le piume. La accompagna dolcemente verso il catino argentato, colmo fino all'orlo di liquido trasparente. Mordecai continua a recitare i propri versi, chinando la testa verso il bacile ed oltre la superficie densa dello sputo di falco. La mano di Juste ne spinge la nuca verso il basso, fino ad immergerla completamente. L'altra mano, appoggiata fra le sue scapole, ne percepisce gli spasmi immediati, le vibrazioni delle ossa scosse dai bassi della musica all'esterno e la tensione dei nervi nel momento in cui l'alcol abbatte le barricate. Il canto sacro continua a salire verso la superficie del catino, trasportato da bolle d'ossigeno sempre più piccole, sempre più discrete. La testa in fiamme, il corpo di Adler si sta piegando in due sotto le mazzate dell'alcol, colpito dall'interno. Juste attende, la mano che continua a spingere la testa della ragazzina verso il fondo del bacile. Le ultime bolle di canto salgono in superficie e vi restano a galla come ninfee. My heart is. An army. And this. Is. A. War.
La pelle è costellata di fiori fosforescenti e labirinti di sudore. Il rumore ha superato ogni barriera, i neuroni sono in diretto contatto con le vibrazioni della musica. Sono migliaia, ed ondeggiano nel delirio della loro nuova epoca personale. Calpestano crisalidi invisibili con la ferocia delle bestie. Sono stati svezzati ed hanno ingoiato l'ultima boccata di aria pulita prima di affogare nel veleno della vita. Questo è il loro limbo, le anime restano intrappolate qui per sempre. Gli occhi di Mordecai non sono più azzurri, ma argento e luce viva.Il suo polso destro è legato al sinistro di Tennessee con una catena di ferro, e continuano a sbattersi contro come boe in disaccordo. Si agitano nella musica, si sfiorano per la prima volta. Mordecai rovescia il capo all'indietro ed accoglie il cielo della notte con il viso. Silke vola sopra di lei, lontana dalle vibrazioni dell'aria. Le visioni si sdoppiano, si moltiplicano e scendono in picchiata verso di lei, ad ali aperte. Come se la grande madre le stesse atterrando addosso per strapparle il cuore dal petto con artigli pietosi, la luce dispiega le proprie ali sulla sua coscienza. My heart is an army, and this is a war, my heart is an army and this is a war. I nervi non sono mai stati così vicini alla vita. Tutto Atacama pulsa nelle loro teste, il cielo puntellato di luci fioche è semiaccecato dai neon e dalle grandi fiaccole. Le costellazioni sono come le menti degli uomini. Scegliamo noi cosa vedere.
Una fiammata improvvisa azzanna la base della grande torre di legno piazzata al centro del raduno. Il fuoco si spinge rapidamente verso l'alto, leccando i piedi al cielo. La statua in cima, dagli spigoli feroci, esplode in un'architettura di fiamme. Come se il fuoco fosse un'ordine, l'ondeggiare fiero dei corpi si tramuta in una danza selvaggia in cui muscoli, ossa e pelle impattano senza pietà gli uni contro le altre. La mano di Tennessee Williams circonda il viso di Mordecai mentre se la tira contro, spegnendo il suo canto con le proprie labbra. Sono estranei dentro a corpi stranieri, persi insieme dentro casa. Si allontanano inciampando sulle promesse fatte e disfatte. Scoprono la quarta dimensione dei corpi.
Almost Home, Bullfinch, luglio 2515
Mordecai Adler chiude la porta della sickbaby. Ne fissa la maniglia a lungo, prima di lasciarla andare. Arretra in direzione del tavolo medico. Sopra, vi sono appoggiati un bicchiere, ed una bottiglia dall'etichetta consumata. Riempie il bicchiere a metà, e lo porta alle labbra. Ingoia senza fretta, la piega seria che non abbandona mai le labbra. Ci sta pensando.
Mordecai Adler e Renee Bolivar
percorrono il sentiero lungo il fiume Thasoan, che porta via l'acqua
sporca della polvere di guerra che da poche settimane ha finito di
depositarsi su Timisoara. Sembrano i protagonisti di una leggenda
rimmer il cui titolo includa un gigante, una bambina ed una teiera
magica. Thiago ed Anchorage li precedono, azzuffandosi ogni due
metri, rotolandosi nella terra rossa, mugolando ed abbiando
informazioni geografiche. Helena esplora la zona dall'alto, appesa
centinaia di metri sopra le loro teste.
-Oggi ho riparato due dita, un fegto,
un polmone, tre gambe rotte e ho anche preparato pranzo.
Bolivar guarda il proprio dito rotto ma
decide di non allungare la lista. Lo mette in tasca (senza pensare)
quindi inghiotte un mugolìo roco di dolore.
-Cosa?
Alder volta il capo verso di lui e dal
movimento qualcuno potrebbe pensare lo abbia girato di
trecentosessanta gradi come i gufi. Bolivar lancia un'occhiata ad
Helena.
-Ahm.. Eh. Dici..Dici che lo vede prima
di noi?
Mordecai lo fissa con l'aria impietosa
di un insegnante mai rassegnato.
-Renee Bolivar, Helena ha su di noi un
vantaggio visivo di circa tre virgola settantasette miglia.
-Mmmh..immagino fosse un si?
Si stringe nelle spalle. Mordecai evita
conferme superflue.
-Quante casse hai spostato oggi Renee
Bolivar?
Bolivar la guarda con lo smarrimento
che un mulo da trasporto assumerebbe se improvvisamente venisse
piazzato a fare il contabile.
-Ahm. Taa..tante? Tipo.. parecchie. Più
di..
Tira il dito rotto fuori dalla tasca
per contare il suo operato poco quantificabile.
-Ti sei rotto il dito.
Gli occhi blu si staccano dalla matassa
confusa di numeri.
-Cos..
-Ti sei rotto il dito, Renee Bolivar.
Bolivar osserva il dito in cerca di
informazioni. Il dito non gli risponde.
-Ahmmm..mmh. Mh.
-Ti riparerò il dito.
-Mh. Aye. Cioè.. Si grazie.
Resta con il dito appeso a mezz'aria
incerto sul dove reinfoderarlo. Dopo tre secondi lo usa per
aggiustare il jackhammer in scivolata giù dalla spalla e sopprime un
nuovo mugolìo sofferto.
Il canyon si apre davanti a loro,
rivelando una sagoma scura nella polvere del mezzogiorno. Helena
lancia un grido acuto, richiamando l'attenzione dei due soldati.
Anchorage rizza le orecchie ed allenta le fauci, lasciando andare la
coda di Thiago. Due secondi, quindi si lancia in una corsa
all'impazzata verso Eamon Taylor, le orecchie indietro a puntare come
radar verso i padroni lentissimi, e la lingua di fuori. Il capitano
Taylor viene investito dalla palla di pelo e gioia, ma dopo qualche
istante viene distratto dall'avvicinamento di Mordecai e soprattutto
dal palo di due metri che la accompagna. Si rialza prontamente,
aggiusta la borsa di pelle che porta in spalla e si spazza un poco le
spalle della camicia. Tiene la testa alta, come se gliel'avessero
attaccata sulle spalle col cemento armato.
-Quello è il capitano Eamon Taylor.
Adler indica il capitano.
Renee, avendo intravisto i movimenti di
Taylor, lo imita alla meno peggio, pulendosi il palmo della mano sui
pantaloni. Si fermano a circa un metro di distanza, senza aprire
bocca. Attimi di disagio (per Renee). Occhiate incrociate. Renee tira
su con il naso. Taylor si schiarisce la gola. Adler incrocia le mani
dietro la schiena.
-Questo è Renee Bolivar. Prende pugni
al posto mio.
Taylor sposta lo sguardo chiaro su
Renee. Lo squadra da capo a piedi. L'angolo della bocca fatica a non
cedere, ma il movimento rapido delle narici l'ha già tradito.
-Ahmr. Si, allora eviterò di dartele
di santa ragione stavolta eh? E' uno scherzo.
Mordecai annuisce soddisfatta, senza
spezzare l'ombra di un sorriso. Renee inghiotte una mezza risata,
mentre gli occhi blu si allargano nel riconoscere la parlata larga
del proprio pianeta. Lancia uno sguardo a Mordecai, che non l'ha
informato della provenienza del capitano. Riporta lo sguardo su
Taylor. Indica Mordecai. Indica Taylor.
-Ahm..mma..E' di Blackro.Sei di
Blackrock?
Taylor allarga un sorriso infidamente
simpatico. Gli allunga la destra.
-Dalle retrovie di Oracle ah?
Bolivar si illumina come un ragazzino
ed annuisce, stringendogli la mano con forza.
-Ehh.. Se avessi saputo che avremmo
incontrato gente del nord..Eh. Mi sarei vestito meglio.
Taylor allarga il sorriso, respirando
l'aria di casa, colpito ma non ancora affondato.
-Io sono di Spartaca.
Mordecai annuisce convinta. Taylor e
Bolivar si guardano. Silenzio.
-Mi hai convocata, Capitano.
Renee fissa Thiago, a caccia di
farfalle selvagge.
-Dev..Devo..
Indica il cane.
-Devo. Oehm. Prendere il cane. Eh?
Torno subito.
Si allontana discreto come un bisonte
delle steppe.
-Ti ho convocata, si.
-Hai disubbidito ai tuoi ordini.
-Bhe, sono i miei ordini.
-Però sto disubbidendo anche io agli
ordini. E non sono i miei ordini.
-Gli ordini non valgono più, Kay. I
Freedom Gunners sono stati sciolti.
C'è una caduta invisibile delle
spalle. Qualche millimetro che condensa la fine di qualcosa, l'inizio
di qualcos'altro, la sconfitta, la vittoria.
-Non sei più il capitano dei Freedom
Gunners, Eamon Taylor.
-No. Sono il capitano del sesto Array
della Confederazione.
-E tutto l'equipaggio è stato
inglobato nell'Array?
-Ahm. E' una lunga storia. Diciamo che
abbiamo approfittato della riorganizzazione per dividere gli elementi
non compatbili.
-Avete mandato via i chinos.
Taylor sgrana un poco gli occhi.
-N..no, no no. Ci siamo divisi, ecco.
Mordecai annuisce.
-Ti hanno lasciato da solo?
Eamon incassa il pugno mentale nello
stomaco, sputando un fiotto d'aria con un sorriso. Scrolla la testa.
-Sono a capo di molta gente nuova,
mettila così.
-Va bene.
-..So. Ci hanno piazzati al controllo
di confine fra Boyd's e Phoenix. Il Martes pattuglia i confini
interni.
Il capo della minispartiana si alza
verso di lui, un guizzo opacamente e discretamente speranzoso negli
occhi.
-Posso tornare?
Taylor sgrana un poco gli occhi.
Deglutisce, indietreggia di un passo come se potesse sfuggire a tutte
le aspettative appese nello sguardo del medico. Si gratta la testa.
Guarda la figura di Bolivar agitarsi in lontananza.
-No, soldato Adler.
Bofonchia dopo qualche istante
fissandosi le scarpe.
-Cosa?
-Ho detto di no, soldato Adler.
Preme sulla voce una severità fin
troppo sforzata, appendendoci parole prima che Mordecai possa
replicare di nuovo.
-Voglio che porti al tuo capitano le
coordinate e le chiavi d'accesso della base di Embla.
Le spalle del medico si sono
irrigidite. Lo sguardo continua a scavare imperturbabile dentro la
testa di Taylor, le spalle dritte e le mani ancora giunte dietro la
schiena.
-Agli ordini, capitano Eamon Taylor.
Il capitano Eamon Taylor guarda con
fermezza oltre le spalle di Mordecai e sfila la borsa, porgendola
alla donna. Lei riceve, la sistema sulla spalla sottile, fissandone
gli occhi sfuggenti.
-Non sono..Sicuro delle condizioni.
Potrebbe essere inservibile. Potrebbero volerci troppe riparazioni.
Sono.. Bhe, lo sai. Sono due anni che non ci mettiamo piede.
-Dopo Lee Hayes.
Eamon Taylor digrigna i denti, nemmeno
Mordecai fosse munita di guanti da boxe invisibili. Annuisce.
-Dopo Lee Hayes.
Il silenzio stagna come una coperta
troppo pesante forzata addosso una calda notte d'estate.
-Riferirò le coordinate e consegnerò
le chiavi d'accesso della base di Embla al capitano Jack Rooster.
Annuisce, tranciando i fili ancora
appesi fra una mano e l'altra, fra una mente e l'altra. Indietreggia
di un passo, imitata da Anchorage e dal suo sguardo sperso. La mano
vola alla fronte, il tacco destro sbatte contro il sinistro.
-Orders!
Ma di altri ordini non ne arrivano.
Resta la caraffa di parole ingoiate a forza e ricacciate sotto le
costole.
-Free to go.
Eamon Taylor indietreggia di un passo a
sua volta. Osserva la figura lontana di Renee.
-Saluta..il tuo amico.
Non le lascia il tempo di rispondere.
Volta le spalle e ripercorre la sua porzione di canyon, cercando di
allungare i metri di polvere fra sè ed il medico. Mordecai ne
osserva la sagoma diventare sempre più sottile, ed infine
ondeggiante.
-L'ho preso!
La voce di Bolivar la porta a voltarsi
verso il rocker, che sta tornando sbrodolante dal fume, Thiago
altrettanto fradicio fra le braccia.
-Ancora..ancora tipo.. due.. e poi
c'erano le rapide!
Ansima sorridente, fiero del
salvataggio. Lo lascia a terra, ed il botolo gli si scrolla addosso
prima di fiondarsi verso Adler. Renee si scrolla, e solo quando ha
fermato la testa s'accorge della sparizione del capitano Taylor.
Fissa il medico in modo interrogativo, apre la bocca ma prima che
possa parlare Mordecai ha già deciso la loro condanna per le ore a
venire.
-Andiamo a pulire la Almost Home,
adesso.
-Uh..
Bolivar allunga un paio di passi
macinando così i quattro che Mordecai già ha consumato per tornare
verso la nave.
-Cos.. Cos'è quello?
Bolivar indica la borsa.
-Te lo dirò domani, Renee Bolivar. Ora
pensiamo a quali aree della nave hanno bisogno di essere pulite
accuratamente.
Bolivar ne fissa il profilo. Non
replica. La affianca e si trova ancora una volta gomito contro
spalla, la faccia rivolta nella stessa direzione, camminando verso
casa.
I granelli di buio soffiati dal crepuscolo galleggiano nell'aria fredda della steppa. Idaho è l'ultimo avamposto prima del desterto. Dove l'erba si dimentica le radici, e procede rotolando, frantumandosi in licheni dalle mascelle strette e, infine, nel nulla. Villa Adler è in cima alla collina. Il salotto invernale dà sulla cittadina, attraverso vetri opachi che confondono la presenza di anime. Quello estivo espande le grandi vetrate e la veranda in direzione di Atacama, dove il vento grida preghiere di sabbia. La porta dello studio di Clara Adler, adiacente al salotto estivo, è stata aperta da poco. Un uomo in completo elegante, una cravatta di seta come un cappio intorno al collo, ne è uscito poco prima con il viso nero.
Alcuni istanti di silenzio, quindi anche Clara esce dallo studio, richiudendosi la porta alle spalle. Il viso fiero è lievemente affaticato, e le mani sono percosse da un tremito nervoso discreto ma costante, mentre tenta più volte di accendersi una sigaretta con un fiammifero troppo corto. Un respiro nervoso, carico di ringhi repressi. I fili di tabacco s'illuminano come lava, ed il primo sbuffo di fumo le si sfila dall'angolo della bocca. Solo quando solleva gli occhi s'accorge che Mordecai, seduta sul divano vicino alla vetrata, la sta fissando da quando è uscita. Le labbra si distendono lievemente mentre la raggiunge e si siede, senza sfiorare la nipote. Anche quando scivola in una posizione comoda lo fa in modo composto, austero. Non guarda la ragazzina mentre parla, ma studia, fra una boccata e l'altra di catrame, l'orizznte frastagliato che precede le steppe intrise di niente.
-"Quell'uomo si chiama Ethan Chrysler."
Spiega, mentre il fumo risale per alcune spanne, prima di iniziare a disperdersi in una cortina di nebbia sopra le loro teste.
-"Ha offerto una grandissima somma di denaro per comprare la fabbrica.Ha fatto pressione parlando della mia assenza da Helena, e di una presupposta cattiva gestione degli impianti."
Le labbra sembrano muoversi in modo meccanico, sconnesso dal resto del volto. Il modo in cui gli occhi si piegano con commozione alla luce della notte in arrivo potrebbero far pensare che stia recitando una delle poesie sacre. Gli occhi della ragazzina che ha accanto ma mai vicina, s'arrampicano per le rughe lievi che segnano i contorni della bocca della nonna.
-"Hai accettato, Grandmother?"
-"No, Mordecai. Non ho accettato."
Clara s'allunga in avanti, a portare più vicino a sè il grande posacenere di marmo. Non libera la sigaretta dalla lunga colonna di cenere che precariamente s'ingrandisce, però.
-"Bisogna pensare al futuro, Mordecai. Ogni granello di sabbia che spostiamo oggi, può diventare una valanga micidiale fra dieci anni."
Le mani della ragazzina si tormentano in silenzio, le ossa pochi millimetri sotto la pelle. Le sopracciglia si spostano sotto la forza di terremoti repressi, lo sguardo s'allontana dalla nonna ma vi torna inesorabilmente. Non risponde. She knows better.
-"Ventitre anni fa, mi trovavo su Shadetrack, Mordecai, nell'Husìa Estate. Mister Bartflow mi aveva accompagnata per le piantagioni di tabacco in carrozza, e s'era appena concluso un pomeriggio delizioso ma affaticante. Avendo biogno di un poco di solitudine, mi allontanai dalla villa, in direzione del fiume. Poco distante dal ponte che portava verso Santa Linda, era seduto un uomo anziano, dall'abbigliamento povero e trasandato, e dal forte odore di whisky. Nonostante l'aspetto, i suoi occhi erano fieri, ed aveva le spalle dritte di dignità, sopra la schiena curva di chi ha lavorato tutta la vita. Lo avvicinai, incuriosita."
La sigaretta sul bordo del posacenere, la cenere non è ancora crollata. La riavvicina alle labbra, nemmeno avesse dimenticato che la forza di gravità potrebbe, da un momento all'alto, spocarle l'elegante abito color crema. Ne succhia un tiro profondo, analizzando il modo in cui le linee dell'orizzonte vengono inghiottite dalla notte.
-"Il suo nome era Tobias Varales. Aveva lavorato per quarant'anni come traghettatore, trasportando persone, bestie, bagagli da una parte all'altro dell'Aprendìo, il fiume che attraversa l'Husìa. Un giorno, mister Bartflow l'aveva raggiunto per discutere di affari. Gli aveva proposto di trasportare per lui, da una parte all'altra del fiume, cinquanta carichi di pietra. L'avrebbe pagato cinquecento pesos. Tobias Varales si rese conto immediatamente che si trattava dell'affare che avrebbe permesso ai suoi figli di andare a scuola, a sua moglie di comprare quell'abito buono il cui aquisto era stato rimandato per sette anni, di andare a vedere suo fratello a Sweet Waters."
La sigaretta torna al posacenere, consumata fino al filtro, una colonna di cenere che sembra aver piantato gli artigli contro ogni regola fisica. Nel momento in cui le dita di Clara Adler la lasciano, tutto si frantuma, si polverizza.
"Tobias Varales lavorò tutto l'inverno, e tutta la primavera, caricando, trasportando e scaricando enormi blocchi di pietra nella sua barca. Piú volte dovette interrompere il lavoro, per fermarsi a riparre le falle causate dal carico eccessivo. Alle porte dell'estate, aveva completato il lavoro. Ricevette i cinquecento pesos e ringrazió il buon Dio. Pochi giorni dopo, il buon Dio gli voltò le spalle, e Bartflow iniziò la costruzione del ponte. Sette mesi dopo, Tobias Varales non aveva più un lavoro. Bartflow non ne aveva da offrigliene, e lui, d'altro canto, non sapeva far altro che faticare e remare. La moglie lo lasciò, portandosi via i due figli, uno dei quali malati di tubercolosi. Tobias Varales si attaccò alla bottiglia, e non la lasciò più."
Clara Adler giunge le mani in grembo, raddrizzando le spalle, nemmeno fosse una guerriera d'argento pronta ad affrontare il buio denso fuori dalle vetrate.
"I sentieri non sono come le strade, Mordecai. Le strade vengono tracciate da persone potenti, che decidono dove la loro gente deve camminare. I sentieri sono tracciati da chi li calpesta. Più uno li sceglie, più diventano giusti. Mi ricordo da dove vengo, e seguo il sentiero."
Conclude, alzandosi in piedi, il lungo abito color crema che sembra modellato sul suo corpo di dea greca, fermo e più solido che mai alla soglia dei sessant'anni.
-"Presentati puntuale a cena."
Le ricorda, senza allungare gesti d'affetto o tessere scomode ragnatele nell'aria pulita di Idaho. Si volta, e lascia la ragazzina sola con la notte.
Il vento bombarda la terra di Atacama, liberando fiori di polvere senza radici. Le corolle si snudano fra le zampe dei cavalli selvaggi, tenuti fermi a forza di colpi di nervi. Heejo è un selvaggio del Takla Makan, dal manto color del piombo e occhi densi di libertà, quel nero liquido che spezzerebbe ogni catena. E' stato strappato alla sua sabbia bianca e conquistato da una ragazzina silenziosa ed assente, che sembra accendersi solo quando i suoi nervi fanno contatto con quelli di una bestia. Tennessee Miller tiene le radici di Kathan, un wild catturato vicino alla Mano. Il suo manto è bianco e gli occhi bruciano di forza irrefrenabile, olio pronto a prendere fuoco. Come sincronizzati dai colpi di vento, i due ragazzini alzano la testa verso il cielo. Le nuvole si sfilano, si deformano, viaggiano a centinaia di chilometri all'ora, volano come aquiloni fantasmi, persi dalle anime che popolavano Spartaca centinaia di anni fa, prima che la guerra distruggesse ciò che rimaneva dei sogni, quando le persone ancora erano umane. Draghi, leoni, balene e profili, bestie sconosciute e forme geometriche volubili volano sopra la testa di Mordecai e Tennessee lasciando cadere sulla terra mostri d'ombra, chiazze di freddo e pace. La prossima bestia buia sta arrivando dietro di loro, viaggiando come una nave invincibile sulla polvere sottile del deserto. Il gioco si chiama As they fly, so we run.
Gli occhi dei ragazzini si incrociano. Quelli di Miller esplorano il volto perennemente marchiato od un poco tumefatto di Mordecai. Solo una settimana prima il suo occhio nero aveva finito di sbiadire per essere riassorbito nell'impassibilità, ora porta un livido giallognolo vicino alla mascella. Miller non c'è mai quando dovrebbe esserci. Se ne assicurano sempre, gli altri. Eppure non c'è accusa nello sguardo liquido della ragazzina. La paura e la rabbia vi passano alla rapidità con la quale le nuvole attraversano il cielo di Atacama. Lei schiva quello che può. I respiri di entrambi sono strattonati dall'attesa. Calcolano, a denti stretti. Miller stringe un sorriso fra i suoi. Uno lieve, quasi impercettibile. Adler manovra una lama di luce fra gli occhi. L'ombra scivola oltre la cima del piccolo colle dietro di loro. Un cenno rapido del capo, a narici allargate. I polpacci ed i talloni, sincronizzati da un burattinaio perfezionista, sbattono nei fianchi di Heejo e Kathan. I cavalli si liberano dalla presa dell'immobilità, e si schiantano in una corsa contro l'aria, le particelle di acqua sospese nel cielo bruciato di Atacama, il vento, il tempo. Vince chi evita l'ombra.
La notte ha cancellato le tracce, ma anche un cieco se ne accorgerebbe: l'università medica di Frankfort è vuota. Così come l'accademia militare, e le case, e le strade. Sembra che la guerra sia già passata, mietendo vittime e spargendo fantasmi al posto di cadaveri come un tornado furioso. Eppure non c'è traccia di sangue, nè bossolo esploso. Nelle stanze degli studenti, sono ancora sparsi fra le brande filo da cucito e frammenti di stoffa rossa. Nelle caserme, ci sono resti di olio nero e grasso per scarpe a terra. Ogni guanto di cuoio è stato sottratto al solito gancio, ogni divisa è sparita.
Hanno gracchiato i neri corvi
Largo spazio a tremende sciagure
Sergej Esenin
Il corteo ha percorso la memoria del deserto, scivolando lungo l'ultimo dei canyons freddi, dimenticando le luci della città. Le fiamme delle torce hanno danzato con il vento gelido, e si sono trasformate da fiume in lago e da lago in pozza, densa di luce e profonda quanto la distanza che li separa dalla vittoria. Mordecai rallenta, come rallentano i passi di migliaia di spartiani. Spalla contro spalla con Tennessee Miller, i loro volti sono stati azzannati dal buio. Segni di pittura nera sotto gli occhi contengono le ultime parole di sicurezza, i codici per accedere direttamente all'inferno passando per le pupille.
E al rombo dei tuoni cade in frantumi
La volta celeste. Brandelli di nubi
Avvolgono il bosco. Su festoni d'oro fino
Hanno oscillato le lampade del firmamento
Sergej Esenin
I tamburi battono il ritmo del terrore per un popolo che non sa parlare. Per una generazione che vede il proprio futuro andare in fumo e non fiata. Per chi ha impugnato armi per tutta la vita ma deve combattere per la prima volta. I tamburi battono il ritmo dell'ago che ha cucito le croci rosse sulle schiene dei cappotti marroni, delle spazzole ispide che hanno tirato a lucido gli stivali, delle preghiere sussurrate da chi non crede in se stesso. Colpo dopo colpo dopo colpo dopo colpo, risuonano nei cuori dei soldati, dei medici, dei falconieri, dei meccanici. Si sostituiscono allo sforzo muscolare, li illudono di essere invincibili ed immortali, connessi universalmente al battito di un solo grande tamburo: il cuore di Spartaca. Nel cielo ancora intriso di buio, un cerchio di sagome nere diventa
più e più definito: la spirale di ombre volanti si allarga sopra il
raduno, i battiti di ali scanditi dal ritmo degli umani. I falchi e le aquile aspettano gli ordini, perchè la gerarchia spartiana è più potente della forza di gravità. E' così che nella notte si levano le grida di tremilasettecendo soldati nella valle di Aran, i pugni al cielo ad incontrare il guizzo di luce di Columba che, fra la polvere ed il sapore dell'insesorabile, sparge fra le steppe il colore del primo giorno di guerra.
Raccontano di un soldato che è tornato a Serenity a cercare le proprie piastrine nella polvere, dopo la guerra. Un soldato biondo, dal cuore scuro. Raccontano di come il vento ha cancellato le sue tracce nella cenere come una serva efficiente, di come le ha pulite asciugando i contorni della memoria. Raccontano di come fosse seguito da un minuscolo soldato biondo dalla testa rasata, una grossa croce rossa sulla schiena, e di come nemmeno il silenzio sarebbe mai riuscito a restare così zitto.
Il plotone di Spartaca è andato in guerra a testa alta, privo dell'unica arma utile alla sopravvivenza: la pietà. Soldati cresciuti indossando armature così strette da fondersi con la pelle, imparando che non si può scusare nessuno: tanto meno se stessi. Un soldato minuto, dalle spalle sottili, non ha retto il peso della propria armatura, ed è caduto in ginocchio. E non possiede pietà, ha le tasche piene di cenere. Cenere caduta ovunque. Il ricordo degli avenger nel cielo rossastro si trasforma in fantasmi solidi che precipitano a terra, polvere sotttile, polvere di fuoco. Tutto in fumo.
Eamon Taylor si avvicina a Mordecai Adler, seduta sull'ala del brigade Martes. Possono vedere tutta Serenity Valley, o quanto ne è rimasto. Le si siede accanto, una gamba contro il petto, una allungata lungo il metallo della nave da guerra.
-Ho qualcosa per te.
Mormora, senza guardarla. Gli occhi azzurri di lei sono inchiodati sul suo profilo, in attesa, le narici frementi di curiosità. Lui si volta, e la fissa. Gli occhi chiari sembrano uno specchio di quelli della spartiana. Sorride, senza nemmeno dover sforzare le labbra. La mano sale al suo volto, lentamente. Il pollice ne sfrega lo zigomo, più volte, con dolcezza. Poi le spalle larghe si raddrizzano, prende il fiato che serve al discorso.
-Ti perdono per aver perso questa guerra, Mordecai Adler.
Quindi distende le scapole, e rilassa gli angoli della bocca, scostando uno sguardo fremente, stanco.
Mordecai Adler respira il silenzio della Sickbay. Cristobal giace ancora addormentato sul letto d'operazione, fasciato, pulito. Le mani sono percorse dalle piccole scosse nervose post-operatorie, dovute allo sforzo prolungato. Cammina fino al lavandino, riempie un bicchiere d'aqua, ribalta il capo indietro e lo svuota lentamente, con gli occhi aperti. Dormono tutti. Dorme Jack, che si è allontanata dallo sguardo fantasma di Oxossi ma non dalla Sickbay, perchè non c'è parete di metallo che tenga. Mordecai le ha sistemato una coperta addosso ed una dietro la nuca, ed ha spento il cortex dopo l'ultimo servizio sui tunnel sotterranei della penisola di Tarney, su Whitmon. Dorme Sam, fuori dalla porta, dopo aver riguadagnato i tre metri che s'è conquistato, le mani intaccate dal sangue di una persona amata. Dorme André, accasciato su una sedia, ogni angolo a sporgere sfrontato sotto la pelle. Mordecai posa il bicchiere d'acqua, e gli si avvicina lentamente.
-"André Vandoosler."
Tenta.
-"Dieu, pigne di sangue...sangue..aghi..scoiattoli, la morte!"
Il medico aggrotta le sopracciglia.
-"E' uno scherzo ironico?"
-"La guerra delle bionde..mmh..Sette, otto, otto e venti... muoiono tutti...lo....lo..lo zucchero!"
-"Stai di nuovo parlando delle sirene di Whitmon, solo che non ci sono sirene, André Vandoosler?"
-"Le balle di fieno. Putain... le balle di fieno, volano. Ovunque..No, no! no.. non gli aghi"
André si contorce nel sogno, le parole vengono sputate fuori in grumi sconnessi, distruggendo ogni parvenza di senso, o solo frantumandola ulteriormente.
-"Si."
Si risponde da sola, il medico, sfiorandone la spalla. Lo scuote un poco, ma non succede niente. I polpastrelli stringono una seconda volta, ad avvertire la vicinanza delle ossa alla pelle. Ritrae la mano nemmeno si fosse scottata, e resta a lungo ad osservarlo, mentre lui continua a narrare le vicende del magico mondo di Vandoosler. Le dita tornano vicino al suo volto. Ne tocca lo zigomo. Prima in modo appena impercettible, quindi facendo più pressione. Ritrae la mano una seconda volta, lasciandola ricadere lungo il corpo. Si volta, e cammina verso gli scaffali contro la parete.
Il profilo di Cristobal Oxossi ricamato di tatuaggi riceve occhiate regolari di controllo, mentre, in punta di piedi, il piccolo medico di Spartaca recupera due coperte, su cui poggia un pacco di soluzione nutriente, ed una flebo. Ciondola con precisione in direzione di André, appoggiando tutto sopra Cristobal, che tanto dorme, tranne una coperta. Se la infila sotto il braccio, e, con entrambe le mani, scosta un poco la testa di André, così da potervela infilare sotto, a mo' di cuscino. Sfila l'altra, lasciando che flebo e soluzione nutriente poggino direttamente sopra Oxossi. Solleva il braccio destro di André, quello meno intaccato dall'hypospray, e lo sistema sopra la coperta. Quindi si avvicina al carrello, sollevandone una stanga. Vi appende la sacca di soluzione nutriente, lasciando il tubetto gommoso pendere fino all'altezza della mano di André. Scarta la punta dall'impacco sterile, e, studiando con occhi attenti il sentiero delle vene del tracker, ve la infila dentro in un movimento fulmineo, ma delicatissimo. Vandoosler si smuove appena, agitandosi in un sogno che viene bombardato dall'esterno. Qualcosa sulle pigne che fanno male, e sulle balle di fieno che prendono fuoco per aria. Il medico aspetta, fissandone il viso in silenzio. Quando sembra essersi calmato, connette la punta al tubetto, attivando la flebo. Il liquido inizia la sua discesa inesorabile verso le vene di Vandoosler, a mescolarsi alla switch, agli incubi, alla paura, alla colpa. Liquido pulito, cristallino quando le iridi impietose di Mordecai Adler. Indietreggia di qualche passo, restando a fissarlo. Conta le gocce, perchè rilassa la testa, e la pulisce, un po' come fa con il sangue di André. Il tatuaggio si è fatto più presente. Come se sulla schiena portasse il fantasma pesantissimo di Silke, e non solo una sua immagine. Accade ogni volta che ne parla, ogni volta che la ricorda. Ma non smetterebbe mai di farlo. Solo quando la sacca è vuota sfila la punta dal braccio di André, ed allontana la stanga della flebo. Solleva il suo braccio dalla coperta, che dispiega. Deve alzarsi in punta di piedi perchè il fondo non tocchi terra. La sistema addosso al tracker, coprendolo come un campione di corsa ai sacchi. Annuisce soddisfatta, lo sfiora sulla testa, se ne torna verso la branda. Un'occhiata all'orologio appeso alla parete: un quarto alle cinque del mattino. Ancora dieci minuti, e Renee comparirà per parlare di aquile e falchi. Si siede, gli occhi ricadono con sorprendente inesorabilità su André. Respira a labbra socchiuse.
-"André Vandoosler, sai qual'è il colmo per un pistolero di Shadetrack?"
-"Il fum..Il fumo si disintegra.. e le..le pigne bruciano. E muore il sangue. Mh. Dieu, il sole manda in fiamme le.. anime. Tutto. Dieu, bon dieu."
-"Te lo racconto domani, allora."
You wanted a piggyback Well I lost my spine And I dreamt of awful things Like company and physical interaction
When you went missing Well I looked almost everywhere I sailed the seas You were never even there You were never even there No you were never even there No you were never even there
Thought I'd see you next night You were nowhere to be seen And of course that's probably best Cus it wasnt such a nice dream
When you went missing
Well I looked almost everywhere I sailed the seas You were never even there You were never even there No you were never even there No you were never even there
Adler è appostata davanti alla porta
della propria cabina, Helena sulla spalla, Anchorage al fianco. Pigia
la maniglia verso il basso. E' bloccata. Pigia di nuovo. E' bloccata.
Pigia di nuovo. E' bloccata. Si arrende. China il capo lievemente di
lato, imitata dal falco e dal doberman, formando un trittico
perplesso. Non ci mette molto a risolvere l'indovinello: è più
facile di quello di André. Gira sui tacchi, la stoffa cucita ancora
sotto il braccio, e si avvia lungo il corriodio, in una piccola
processione bestiale, lungo il corridoio. Conta le luci laterali,
passando. Le conta e moltiplica per il numero di rumori sospetti
all'interno della propria cabina, e per il numero di urli ed ululati
provenienti dalla plancia. Cerca di calcolare a quale punto della
notte gli SSV andranno in tilt. Con una curva calcolata, come se
qualcuno le avesse seminato un tracciato di bricioline davanti ai
piedi, si parcheggia davanti alla cabina. Testa la maniglia,
pigiandola verso il basso. E' aperta. Sgrana un poco gli occhi, con
quella profondità che non è emozione adulta, bensì una sconnessa
curiosità infantile, livida ed intransigente. Entra, seguita dalle
sue bestie. Si china un poco in avanti, sporgendo la spalla sinistra
verso l'interno della stanza. Helena si libra, volando ad
appollaiarsi sulla canna del dragoon di Renee. Anchorage si affretta
a conquistare la sua posizione ai piedi del letto del rocker.
Timisoara, Bullfinch, 25
giugno 2515
Red Wright e Harry Bolton cantano.
Cantano perchè sono felici, secondo Sundance Celsire, perchè
Polaris si risveglia. Questo è sbagliato. La gente si mobilita, per
combattere contro altra gente. Polaris è una stella, e fra
moltissimi anni esploderà, oppure imploderà, diventando un buco
nero e risucchiando dentro di sè tutti i pianeti del suo sistema, e
del sistema Dao, e del sistema Dorado, e del sistema Central, e del
sistema Columba. Ma il sistema Columba per ultimo, perchè è più
lontano, e perchè c'è Spartaca. E cancellerà anche ogni ricordo
dell'umanità, e della guerra, e dei chinos. Però adesso manca
ancora molto tempo, e quindi noi facciamo la guerra, perché Spartaca torni ad essere dei spartiani, magari prima del buco nero.
Anche Sam Hale e Moloko Cortes sono felici, ma per un'altra ragione.
Questa è una frase sottointesa. Sundance Celsire è andata a
dormire. Non so dove siano André Vandoosler e Renee Bolivar e il
capitano Jack Rooster e Klaush Schmidt. Ho indagato nella cabina di
André Vandoosler e Renee Bolivar. Ho trovato:
-Il libro “Kisses in the sunset”,
sul ripiano di Renee Bolivar
-Il libro “Bloodbound, con un
segnalibro alla pagina 214”, sul ripiano di Renee Bolivar
-Un violino, sotto il letto di André
Vandoosler.
-Un osso, per terra
-Tredici calze usate, di tredici
paia diverse, sotto il letto di André Vandoosler
-Un ritratto molto accurato di
Mordecai Adler, sotto il letto di Renee Bolivar.
-Una dose di switch, sotto il
comodino di André Vandoosler.
Ho anche letto sette messaggi di
Eamon Taylor. Non riporto i messaggi perchè sono molto lunghi ed
oggi ho cucito una camicia ed ho le dita stanche. Non ho risposto
perchè seguo il protocollo, ed il protocollo è: non rispondere.
Il capitano Jack Rooster non è
esperta di medicina, però sa comunicare con i cani. Spesso, è
importante osserv
Mordecai Adler richiude il libretto
verde d'improvviso, cacciandolo via. Si drizza a sedere,
il piccolo colonnello dei cuscini.
-Sono sul tuo letto, Renee Bolivar.
Sottolineo l'ovvio.
Renee si volta verso André, strizzando
un sorriso che un poco filtra il divertimento, ed un poco
l'esasperazione rassegnata. Fa strada il rocker, per acquisire una
posizione mobile di costante frapposizione tra il medico e l'amico
stralunato.
-..Eh. Già. Ma.. Proprio.. Moloko e
Sam, Eh?
-Si.
André si chiude la porta della cabina
alle spalle solo dopo aver fatto passare l'ultima bestia mancante
all'appello, ovvero il bastardo di Renee. Ciondola verso di loro con
un ghigno che non ha nulla di bieco e tutto del sognatore.
-Sorella 'Kay, qua sei sempre la
benvenuta.
Ed apre le braccia come il salvatore.
-Grazie.
Risponde il medico, dato che non può
pagare.
-Avete fucilato Huck Haggerty?
Si informa, per fare due chiacchiere.
-Dieu.. (André sgrana gli occhi
liquidi, rompendovi dentro una luce nel nero) No, no.
-E'.. (Renee si passa la mano fra i
capelli scamigliati, puntellando gli occhi con un sorriso stanco.) E'
andato tutto bene. Ho visto..ecco, ho visto parecchie bestie.
Animali.. Ma (altro sorriso, fra il complice e lo smarrito) ma ecco..
nessuna aquila..
-Ci sono poche aquile su Bullfinch,
Renee Bolivar. Forse ci sono tanti amici di Sam Hale, e hanno ucciso
molti rapaci.
André e Renee si guardano, a corto di
risposte. Renee caccia le mani in tasca, André si gratta la nuca.
-Oggi ho parlato con Sundance Celsire.
Lei ha molte informazioni su di te, André Vandoosler.
Lo informa con la furbizia di chi non
vuole scoprire le carte, con la faccia da poker offerta dalla casa.
Di nuovo, i due solo si guardano, questa volta il piglio del tracker ha un che di stralunato, un sospetto sprovvisto di diffidenza.
-Putain.
Soffia lui, non in risposta al medico, ma ad Anchorage che ha tentato di allungargli un'azzannata affettuosa alla caviglia.
-Magari se ti assaggia, poi si fida di te. E' uno scherzo.
Renee ridacchia, e si china a salutare il doberman, che con un voltafaccia degno di uno skyplex si mostra ora estremamente docile.
-E' così che funziona, sorella Adler?
André spiana l'ennesimo sorriso da volpe felice, riattirando l'attenzione di un Bolivar perso in giuggiole canine. Si guarda intorno, un po' spaesato.
-Ssi..si. Ma..Ecco, per dormire?
Renee continua a gettare lo sguardo sempre più preoccupato a destra e manca, perchè ci
sono due letti e tre persone. André semina passi a caso fino al
proprio letto e vi si spiana sopra, come una pasta le cui sfoglie si
distribuiscono a caso fra le lenzuola. Mordecai si risiede sul letto,
allargando le mani lungo le lenzuola, ognuna dal suo lato,
concentrata sulla conta dei propri battiti del cuore. André la
guarda, e si domanda se il cuore sia proporzionato alle sue dimensioni.
Se sia come quello di un topolino, e batta fortissimo. Anchorage alza
il muso con sguardo interrogativo. E, quando Renee fissa
l'imperturbabile Helena, trova la risposta.
(Il giorno dopo, Mordecai Adler, nella
sickbay, ricorderà d'improvviso e con massimo allarme di aver
lasciato il suo diaro verde sotto il cuscino di Renee)
what is saddest than love closed in death a body that cannot express the liquid words of sorrow where do you go when you're back there in your head? you like your corners square will they still be there tomorrow?
E' il 14 giugno dell'anno 2515. Mi trovo su Safeport, in una stanza buia. La mia prima idea è stata contattare Charlie Towman. Ho subito scartato questa idea, perchè il capitano Eamon Taylor mi ha vietato di prendere contatto con altri membri dell'equippaggio del brigade Martes al di fuori di lui. Ieri mi ha mandato un messaggio. Era molto tempo che non mi mandava un messaggio. Questo è il messaggio.
Cortex-contact Martes, Outer Rim Ring 329.
Mordecai.
Spero che tu stia bene, e spero che continui a scrivere sul quaderno. Spero che tu abbia trovato il capitano Jack Rooster. E' strano qui, senza di te. Abbiamo preso a bordo un medico di Richleaf. Vaga senza bestie appollaiate in spalla ed ha un senso dell'umorismo comprensibile. Questo non è uno scherzo.
Mi manchi. Posso dirlo con certezza e lucidità, ora, dopo quattro mesi. Mi manca parlarti, e mi manca guardarti annaspare in un mare di informazioni incomprensibili e semplificare gli schemi complicati della vita. E' difficile restare a galla, senza di te. Questa è una metafora.
Riprenderemo Spartaca. Riprenderemo ogni fottuto pianeta del Border, e del Rim. Devi crederci. Devi sapere che succederà. Devi pensare a come.
Non posso amarti, perchè finirei per uccidermi. Privarmi del pensiero di te, d'altro canto, sarebbe come saltare fuori da un airlock e respirare il vuoto. Anche questa è una metafora. Mi limito a sentire la tua mancanza, allora. Ogni giorno.
Eamon
Ho incontrato il capitano Jack Rooster durante un rodeo su Bullfinch. Ad Anchorage piace, ma a me non piace molto. E' in possesso di nozioni di medicina molto distorte. Spero che mi ascolterà la prossima volta. Al rodeo su Bullfinch ho anche incontrato Renee Bolivar. Renee Bolivar è di Blackrock, ed ha visto un'aquila dorata. Con Renee Bolivar mi piace parlare di aquile e falchi. Ed anche spiegargli che la guerra è finita, e se proprio vuole bisogna iniziarne una nuova. Ovviamente non ho potuto dirgli che la nuova guerra è già iniziata, perchè queste sono informazioni di massima segretezza, che sanno solo persone come me, il capitano Eamon Taylor e il capitano Jack Rooster. Credo che lui sarebbe un buon soldato per la nuova guerra. Crede che vinceremmo. Bisogna sempre credere che si vincerà, prima di iniziare una guerra. Altrimenti si è solamente una persona sadistica e triste. Ho rivisto Renee Bolivar su Safeport. Mi ha tirata fuori da una situazione poco positiva. Poi si è offerto di prendere pugni al posto mio anche in futuro. Gli ho detto che per me va bene. Sono andata al Devil's Den a cercare il capitano Jack Rooster, ma non l'ho trovata. Invece, c'era Andrè Vandoosler. Questo è un pezzo di Bullfinch che ho dimenticato. Ho incontrato Andrè Vandoosler insieme a Renee Bolivar ed al Pilota Red Wright su Bullfinch. Erano tutti alla ricerca di prostitute. Volevo informare Renee Bolivar del fatto che andare a letto con Bessie Malloy gli avrebbe procurato pruriti nelle parti intime per un minimo di cinque giorni. Ovviamente non l'ho potuto informare di questo a causa di un'espressione del viso di Bessie Malloy. L'ho già vista far così tre settimane e quattro giorni fa, quando ho informato un suo cliente del suo recente ricovero dalla gonorrea. Dopo averlo informato, Bessie Malloy ha atteso che il cliente se ne andasse, poi mi ha tirato un pugno in faccia ed un calcio nello stomaco. Anchorage non era purtroppo presente. Dato che ho riconosciuto la sua espressione, quindi, non ho detto niente. Anche se Anchorage era lì. Anche Andrè Vandoosler è andato a cercare prostitute. Red Wright, invece, sembrava ferito, ma è andato via prima che potessi offrire aiuto medico. Gli ho anche offerto una visita otorinolaringoiatrica, ma lui non non ha accettato. Andrè Vandoosler era al Devil's Den in compagnia di Klaus Schmidt, che conosceva il mio noome perchè era scritto sul suo cortex pad e mi stavano aspettando. Suppongo che il capitano Jack Rooster li abbia informati del mio arrivo. Oppure che il capitano Eamon Taylor li abbia informati del mio nome. Suppongo quindi che siano entrambi membri delle Dust Devils Troops. Ma, non avendo stabilito una parola codice con cui controconfermare questa informazione, non ho indagato ulteriormente. Attenderò di avere conferma diretta dal capitano Jack Rooster. Andrè Vandoosler preferisce il "tu" al lei, così come il capitano Eamon Taylor. Anche Renee Bolivar lo preferisce. Renee Bolivar ed Andrè Vandoosler sono molto gentili, come il capitano Eamon Taylor. Sento la mancanza del capitano Eamon Taylor. Con lui mi piace parlare di Spartaca, dei pianeti nuovi, di come curare le malattie, di come organizzare politicamente i pianeti dominati perchè tutta la gente partecipi alla nuova guerra, e delle tattiche di attacco degli avenger alleati. Con lui mi piace anche baciarsi, e guardare il cielo, ed ascoltare le storie di guerra, e raccontare le storie di guerra. Ma ora non succederà più. Ora attendo che Renee Bolivar venga qui, perchè mi accompagnerà nuovamente al Devil's Den, e prenderà eventuali pugni al posto mio. Anche questo mi piace.
Deep in the ocean, dead and cast away, where innocence is burned... in flames. A million mile from home, I'm walking ahead. I'm frozen to the bones, I am. A soldier on my own, I don't know the way. I'm riding up the heights... of shame. I'm waiting for the call, the hand on the chest. I'm ready for the fight... and fate. The sound of iron shots is stuck in my head. The thunder of the drums dictates the rhythm of the falls, the number of deaths, the rising of the horns... ahead. From the dawn of time to the end of days, I will have to run... away. I want to feel the pain and the bitter taste... of the blood on my lips... again. This steady burst of snow is burning my hands. I'm frozen to the bones, I am. A million mile from home, I'm walking away. I can't remind your eyes, your face.