Sunday 28 July 2013

Go your own way

 

Helena, Spartaca, luglio 2515

Tennessee Miller trascina le stampelle nella sabbia della strada. Le appoggia, facendo forza sulle spalle stanche, si solleva, trascina l'unico piede nella sabbia. Lo appoggia, cercando l'equilibrio. E trascina le stampelle nella sabbia della strada. I cancelli di Villa Adler si avvicinano con una lentezza frustrante. Le pareti, una volta squadrate e pulite, sono state rosicchiate dai proiettili, e il nero sudato dalla pietra durante l'incendio del '09 non è mai stato scrostato. Il ferro dei cancelli è arrugginito, il giardino assomiglia ogni anno di più al Takla Makan.

La porta si apre bruscamente, ma lo spiraglio è limitato, frenato dalla catenina all'interno. Gli occhi liquidi di Tennessee si alzano sullo spettro nel buio nella casa. Clara Adler gli sta dritta davanti. Le rughe sembrano canali per la durezza, la severità non è caduta così in basso quanto le spalle, che sopportano male il peso degli anni. I capelli bianchi sono raccolti sulla nuca, a tirare indietro la pelle delle tempie e della fronte. Con il sospiro tipico di chi si è arreso secoli fa, sgancia la catenina senza salutare, e si sposta indietro seguendo l'arco tracciato dalla porta lungo il suo perno. Tennesse avanza con la tenacia dei portatori di fiaccole nella tempesta.
-She home?
Le labbra di Clara sono percorse da un guizzo ispido, freddo.
-Where else should she be?
L'uomo appoggia le stampelle sullo stipite, e si solleva dentro la villa. Appoggia il piede, cerca l'equilibrio, appoggia le stampelle. Inspira l'odore che impregna l'aria, le pareti i mobili. Socchiude gli occhi.


Helena, Spartaca, agosto 2502


-Siamo morti. Siamo morti. Anzi, torturati e morti.
Tennessee, 16 anni, si regge la testa mentre barcolla dietro a Mordecai mentre la notte ancora cerca di tenere nascoste le loro misfatte. Ma l'alba lampeggia pericolosa all'orizzonte, scivolando innamorata sul profilo di Atacama.
-Shhht.
Lo zittisce Mordecai. Indica la porta principale. Si guardano, le teste ancora zuppe di sputo di falco.
Miller ride. Ride di gusto, mentre scuote la testa.
-Si entra sempre dall'ingresso principale, e si accettano sempre le conseguenze..Tennessee Miller.
Il fiato spezzato di Mordecai risveglia fra le dita del ragazzo l'irresistibile bisogno di passargliele sulla nuca, fra i capelli corti e le piume rovinate. Avvicina il viso al suo, ansimandole fra le labbra vapore d'alcol. Ne spinge le scapole contro il legno sontuoso dell'ingresso, mentre la mano della ragazzina cerca la chiave nella tasca. Le infila nella toppa, senza guardare. Gira. Lo scatto della serratura blocca ogni terribile intento di Miller. Schiudono la porta, sfilano gli anfibi pieni di sabbia ed avanzano in punta di piedi. Le facce portano ancora i segni neri della pittura da guerra, ed ogni scalino ha una terribile tendenza a sdoppiarsi, quando i piedi cercano di tenerli al loro posto per salirvi. La scalinata sembra eterna. Il tappeto, il legno, la pietra e le pareti hanno orchestrato una sinfonia di odori che mozza il fiato e catapulta la mente nel grembo dei grandi saggi e delle leggi incise sulla pietra. Non è odore di casa. E' odore di Spartaca.

Almost Home, Bullfinch, Luglio 2515


-Cinque per due?
-Dieci.
-Cinque per tre?
-Quindici.
-Cinque per quattro?
-Kay, sono le sei del mattino e siamo sverse e...
-La risposta esatta è venti.
Sono nascoste dalle coperte, perché la lana isola il rumore ed i mugolii spassionati di Moloko quando ridacchia, e le istruzioni severe ma parecchio trascinate di Adler. Ai loro piedi, nascosti anche loro, Anchorage ed Argo dormono pacificamente. 
-Devi smettere di contare uno ad uno, Moloko Cortes. Devi fidarti delle regole.
Il sorriso spaccato della solo rivela qualche dubbio in merito. L'odore di cane e di stoffa calda e di respiro umano e di alcol è pesante, viene ingoiato a cucchiaiate sui cui bisogna soffiare sopra, come la zuppa bollente. Mordecai si zittisce, ruota la nuca indietro, la faccia direttamente nella coperta, come se indossasse una maschera magica. Respira dentro le fibre, tirandosi la lana contro le narici. Non ha mai sentito un odore così forte.

Helena, Spartaca, luglio 2515

Tennessee Miller apre la porta con cautela. Si trascina verso la grande finestra, che rilascia sulla stanza un oceano di luce opaca. Le tende non sono state smontate dalla guerra: sono state tirate giù dalla disperazione. La figura in profilo sulla sedia a rotelle sembra una statua malpiazzata. Ruota la testa verso di lui lentamente. Un crepaccio grigiastro divide le labbra in un sorriso instabile. La voce dolcissima si arrampica a fatica fuori dalla gola
-Tennessee.
-Miss Adler..
-Stella. Ti prego, Stella.
Ogni tensione sul volto dell'uomo sembra allentarsi. Si ferma a pochi passi da lei. Le spalle sono muscolose, mantenute compatte dallo sforzo di doversi tirare dietro il resto del corpo. Ogni giorno, da quando una delle sue fondamenta è rimasta a marcire in una trincea di Serenity. 
-Siediti.
Mormora Stella, indicando una delle sedie di legno che circondano il tavolo annerito. Tennessee molla le stampelle, s'appoggia alla sedia e se la trascina contro, crollandovi sopra. Quindi cerca di portarsi più vicino alla donna. Gli occhi chiarissimi di lei lo fissano, scivolano sul suo volto carichi di una tristezza che non riesce a spacciarsi per amore.
-Sei ancora così bello.
Scuote il capo, i capelli biondi che ne seguono il volto spettrale in onde dorate. Di ciò che è nascosto sotto lo spesso scialle di lana nera, si intravede solo la punta di un ginocchio ossuto. La sua mano sottilissima scivola piano verso la gamba destra di Tennessee. O quel che ne resta. L'arto si interrompe una spanna prima della giuntura del ginocchio. Miller chiude gli occhi di nuovo, ingoiando il buio e la luce rosea, impertinente che le palpebre non riescono a catturare.

Saint Lucy, Serenity Valley, Hera, febbraio 2511

Vede le stelle. Sono milioni, e sono a portata di mano. Nitidamente a portata di mano. Ha la bocca spalancata, ma l'ultimo urlo è stato emesso molti minuti prima. Il volto è fradicio di sudore, la dose di morfina elargita è stata appena abbastanza potente da intaccarne la percezione della realtà. La figura che lo aggira di continuo si interrompe d'improvviso, e gira la testa verso di lui. Gli occhi di Mordecai Adler sono liquidi, lucidi, in tutta la loro impassibilità. Ne è certo, è sicuro di averla vista con laghi nelle orbite. 
-Fermo. Questo comporterà estremo dolore, Tennessee Williams. Perderai i sensi.
Il respiro affannato del soldato è instabile quanto il suo sguardo. Cerca appigli, ma non ne trova. La materia si agglomera, si scioglie, si unisce, trema. La mano del capitano Adler è ferma appena sopra il suo ginocchio. Il piede già nero, i petali di granata ancora conficcati nel polpaccio, nella caviglia. Uno al centro del ginocchio. La carne è stata operata con tenacia, separando i muscoli, i tendini. I nervi. Ma nessuna garza regge, il tamponamento è similie ad una fila di sacchi di sabbia a guardia di uno tsunami. Affonda la mano sulla sua pelle, un dito scivola contro la carne viva. La spalla inarcata, la destra scivola indietro. I denti della sega metallica tagliano la prima tacca dentro l'osso. Le galassie sono sempre piú vicine. Sono dentro il sangue.



Helena, Spartaca, agosto 2502

La luce di Columba è rosa, e li accarezza dolcemente. I corpi sparsi nel letto all'ultimo piano di Villa Adler cercano di riassumere il contenuto di ogni respiro con movimenti impercettibili. Le nocche di Tennessee scivolano sulla guancia di Mordecai, mentre respira l'odore del mattino gelido dalla finestra spalancata. Sorride al soffitto, il suo amico. Sfiora il profilo della ragazza con lo sguardo. Nella mano, stringe la loro catena. Sta per dire qualcosa di incredibilmente romantico e poetico, quando i passi nella scala tranciano il fiato ad entrambi. Gli occhi sgranati di Mordecai cacciano Tennessee sotto il letto, appena qualche millisecondo prima che Clara Adler spalanchi la porta senza bussare. Gli occhi grigi ed impassibli quanto quelli di Juste Montgomery la squadrano. Annusa l'aria, fissa la finestra spalancata. Non commenta.
-La macchina è pronta fra mezz'ora. La tua tunica è nell'armadio. Ripasseremo i canti stradafacendo.
Un cenno militare del mento, quindi sbatte la porta. Da sotto il materasso si espande una risata aperta, esausta.

Friday 26 July 2013

5 am



 Mordecai Adler rientra alla nave mentre nei corridoi metallici regna il silenzio. Si sbriga, attraversando quello principale fino alla cabina 9g. Ne apre la porta con discrezione, in caso Renee Bolivar fosse lì. Invece, incontra lo sguardo di Argo, lucido e felice nel buio. Liberandosi d'un colpo di tutti gli spilli che hanno tenuto le labbra ferme durante la sera, scolpisce fra gli angoli della bocca qualcosa di molto simile ad un sorriso. Batte le mani e lo attira a sè facilmente. Lo carezza piano, quindi, tenendoselo dietro, richiude la porta della cabina e se ne torna verso la propria camera, portandoci dentro il dogo. La mattina, se qualcuno dovesse chiederle se l'ha visto, scuoterà il capo con estrema serietà.

My heart is an army




Atacama desert, Spartaca, agosto 2502

Il cielo ruota lentamente sopra le loro teste, chiazzato di sangue violaceo dal giorno macellato, graffiato dagli artigli della notte in arrivo.
-Sacred is the blood
-Sacred is the fight
-Sacred are the lungs
-Sacred is the night.
Tennessee Miller si ferma, il fiato a mezz'aria in una nuvola di fumo. Ha un cimitero di sigarette spente sul fondo nero dei polmoni. Con le dita tremanti regge l'ennesima cicca, studiandone i contorni contro la luce pesta. Ha leoni nascosti fra le costole, a guardia di un cuore selvaggio, inadatto, fuoriluogo.
-Your heart is the most sacred place
-You keep it secret, you keep it safe
-Your hands do what you are
-Become your action, hold your scars.
Mordecai si ferma. Porta catene di piume nei capelli cortissimi ed indossa un cappotto nero sporco di sangue asiatico. La nuca è poggiata sulla sabbia fredda, gli occhi seguono la schiuma del cielo attraversata dagli archi di Silke. Ha la sensazione netta ed intensa che gli occhi stiano affondando nelle orbite, come se si dovessero ritirare nel cranio e salutare la morte. La musica è così forte da riuscire a far vibrare i loro polmoni e suonare le costole come xilofoni. I tamburi, i violini, le bacchette picchiano sui timpani fino a strappare la delicata pellicola che separa le menti dalla realtà. Galleggiano a due spanne dal centro della terra, volano con le scapole inchiodate al muro. Le voci lontane ne chiamano i nomi. Tennessee Miller volta il capo lentamente ed appoggia l'orecchio sulla sabbia. Sembra che sia Spartaca stessa a parlare a Mordecai infilandosi nella testa del ragazzo, passando per il suo sussurro.
-It's time.


Si alzano barcollando, le vene zuppe del liquore già ingoiato. Affondano passi sconnessi verso la tenda chiusa annaspando nella colla di ossigeno, impigliandosi negli ultimi raggi rosei tessuti da Columba, il grande ragno di luce. L'ingresso sorvegliato da due renaes si avvicina ondeggiante. Si guardano, soffocando un mugolìo fra i denti e gli angoli piegati della bocca. L'adrenalina densa fra i molari, un blocco di granito nero nello stomaco. Tennessee  rallenta, lasciando che Mordecai passi per prima. Spezzano un altro ghigno complice, ingoiando visioni segrete. E' Adler ad avvicinarsi per prima al grande catino argentato. Lì la attende Juste Montgomery, la più bella donna che abbia mai calpestato la sabbia di Atacama. L'aura vibrante dello stato pre-allucinatorio le danza intorno come una gloria. I suoi occhi sono grigi, infimi e potentissimi, le labbra richiamano prima la lingua e poi i denti come domatrici esperte. Indossa una lunga tunica bianca ed al fianco porta una spada il cui pomo è grande quanto la testa di Adler. O quasi. Si deve chinare per poter prendere il viso di Mordecai fra le mani. Le vertebre sorgono come pinne minacciose lungo la linea della schiena inarcata. Preme la fronte candida e fredda contro quella bollente di Mordecai, fino a farle digrignare i denti. Le parla fra le labbra, ed ha il gusto e l'odore della camomilla selvatica.
-My heart is an army, and this is a war. My heart is an army, and this is a war. My heart is an army, and this is a war. My heart is an army, and this is a war. My heart is an army, and this is a war. 

Mordecai inizia a ripetere le parole dopo di lei, con lei, dentro il suo respiro. Ripete ancora, ancora, ancora. My heart is an army, and this is a war. My heart is an army, and this is a war. Juste l'aggira, la mano posata sulla sua nuca, le dita fra le piume. La accompagna dolcemente verso il catino argentato, colmo fino all'orlo di liquido trasparente. Mordecai continua a recitare i propri versi, chinando la testa verso il bacile ed oltre la superficie densa dello sputo di falco. La mano di Juste ne spinge la nuca verso il basso, fino ad immergerla completamente. L'altra mano, appoggiata fra le sue scapole, ne percepisce gli spasmi immediati, le vibrazioni delle ossa scosse dai bassi della musica all'esterno e la tensione dei nervi nel momento in cui l'alcol abbatte le barricate. Il canto sacro continua a salire verso la superficie del catino, trasportato da bolle d'ossigeno sempre più piccole, sempre più discrete. La testa in fiamme, il corpo di Adler si sta piegando in due sotto le mazzate dell'alcol, colpito dall'interno. Juste attende, la mano che continua a spingere la testa della ragazzina verso il fondo del bacile. Le ultime bolle di canto salgono in superficie e vi restano a galla come ninfee. My heart is. An army. And this. Is. A. War.


La pelle è costellata di fiori fosforescenti e labirinti di sudore. Il rumore ha superato ogni barriera, i neuroni sono in diretto contatto con le vibrazioni della musica. Sono migliaia, ed ondeggiano nel delirio della loro nuova epoca personale. Calpestano crisalidi invisibili con la ferocia delle bestie. Sono stati svezzati ed hanno ingoiato l'ultima boccata di aria pulita prima di affogare nel veleno della vita. Questo è il loro limbo, le anime restano intrappolate qui per sempre. Gli occhi di Mordecai non sono più azzurri, ma argento e luce viva. Il suo polso destro è legato al sinistro di Tennessee con una catena di ferro, e continuano a sbattersi contro come boe in disaccordo. Si agitano nella musica, si sfiorano per la prima volta. Mordecai rovescia il capo all'indietro ed accoglie il cielo della notte con il viso. Silke vola sopra di lei, lontana dalle vibrazioni dell'aria. Le visioni si sdoppiano, si moltiplicano e scendono in picchiata verso di lei, ad ali aperte. Come se la grande madre le stesse atterrando addosso per strapparle il cuore dal petto con artigli pietosi, la luce dispiega le proprie ali sulla sua coscienza. My heart is an army, and this is a war, my heart is an army and this is a war. I nervi non sono mai stati così vicini alla vita. Tutto Atacama pulsa nelle loro teste, il cielo puntellato di luci fioche è semiaccecato dai neon e dalle grandi fiaccole. Le costellazioni sono come le menti degli uomini. Scegliamo noi cosa vedere.



Una fiammata improvvisa azzanna la base della grande torre di legno piazzata al centro del raduno. Il fuoco si spinge rapidamente verso l'alto, leccando i piedi al cielo. La statua in cima, dagli spigoli feroci, esplode in un'architettura di fiamme. Come se il fuoco fosse un'ordine, l'ondeggiare fiero dei corpi si tramuta in una danza selvaggia in cui muscoli, ossa e pelle impattano senza pietà gli uni contro le altre. La mano di Tennessee Williams circonda il viso di Mordecai mentre se la tira contro, spegnendo il suo canto con le proprie labbra. Sono estranei dentro a corpi stranieri, persi insieme dentro casa. Si allontanano inciampando sulle promesse fatte e disfatte. Scoprono la quarta dimensione dei corpi.




Almost Home, Bullfinch, luglio 2515

Mordecai Adler chiude la porta della sickbaby. Ne fissa la maniglia a lungo, prima di lasciarla andare. Arretra in direzione del tavolo medico. Sopra, vi sono appoggiati un bicchiere, ed una bottiglia dall'etichetta consumata. Riempie il bicchiere a metà, e lo porta alle labbra. Ingoia senza fretta, la piega seria che non abbandona mai le labbra. Ci sta pensando.

Monday 22 July 2013

Life's a game made for everyone


 

Mordecai Adler e Renee Bolivar percorrono il sentiero lungo il fiume Thasoan, che porta via l'acqua sporca della polvere di guerra che da poche settimane ha finito di depositarsi su Timisoara. Sembrano i protagonisti di una leggenda rimmer il cui titolo includa un gigante, una bambina ed una teiera magica. Thiago ed Anchorage li precedono, azzuffandosi ogni due metri, rotolandosi nella terra rossa, mugolando ed abbiando informazioni geografiche. Helena esplora la zona dall'alto, appesa centinaia di metri sopra le loro teste.
-Oggi ho riparato due dita, un fegto, un polmone, tre gambe rotte e ho anche preparato pranzo.
Bolivar guarda il proprio dito rotto ma decide di non allungare la lista. Lo mette in tasca (senza pensare) quindi inghiotte un mugolìo roco di dolore.
-Cosa?
Alder volta il capo verso di lui e dal movimento qualcuno potrebbe pensare lo abbia girato di trecentosessanta gradi come i gufi. Bolivar lancia un'occhiata ad Helena.
-Ahm.. Eh. Dici..Dici che lo vede prima di noi?
Mordecai lo fissa con l'aria impietosa di un insegnante mai rassegnato.
-Renee Bolivar, Helena ha su di noi un vantaggio visivo di circa tre virgola settantasette miglia.
-Mmmh..immagino fosse un si?
Si stringe nelle spalle. Mordecai evita conferme superflue.
-Quante casse hai spostato oggi Renee Bolivar?
Bolivar la guarda con lo smarrimento che un mulo da trasporto assumerebbe se improvvisamente venisse piazzato a fare il contabile.
-Ahm. Taa..tante? Tipo.. parecchie. Più di..
Tira il dito rotto fuori dalla tasca per contare il suo operato poco quantificabile.
-Ti sei rotto il dito.
Gli occhi blu si staccano dalla matassa confusa di numeri.
-Cos..
-Ti sei rotto il dito, Renee Bolivar.
Bolivar osserva il dito in cerca di informazioni. Il dito non gli risponde.
-Ahmmm..mmh. Mh.
-Ti riparerò il dito.
-Mh. Aye. Cioè.. Si grazie.
Resta con il dito appeso a mezz'aria incerto sul dove reinfoderarlo. Dopo tre secondi lo usa per aggiustare il jackhammer in scivolata giù dalla spalla e sopprime un nuovo mugolìo sofferto.
Il canyon si apre davanti a loro, rivelando una sagoma scura nella polvere del mezzogiorno. Helena lancia un grido acuto, richiamando l'attenzione dei due soldati. Anchorage rizza le orecchie ed allenta le fauci, lasciando andare la coda di Thiago. Due secondi, quindi si lancia in una corsa all'impazzata verso Eamon Taylor, le orecchie indietro a puntare come radar verso i padroni lentissimi, e la lingua di fuori. Il capitano Taylor viene investito dalla palla di pelo e gioia, ma dopo qualche istante viene distratto dall'avvicinamento di Mordecai e soprattutto dal palo di due metri che la accompagna. Si rialza prontamente, aggiusta la borsa di pelle che porta in spalla e si spazza un poco le spalle della camicia. Tiene la testa alta, come se gliel'avessero attaccata sulle spalle col cemento armato.
-Quello è il capitano Eamon Taylor.
Adler indica il capitano.
Renee, avendo intravisto i movimenti di Taylor, lo imita alla meno peggio, pulendosi il palmo della mano sui pantaloni. Si fermano a circa un metro di distanza, senza aprire bocca. Attimi di disagio (per Renee). Occhiate incrociate. Renee tira su con il naso. Taylor si schiarisce la gola. Adler incrocia le mani dietro la schiena.
-Questo è Renee Bolivar. Prende pugni al posto mio.
Taylor sposta lo sguardo chiaro su Renee. Lo squadra da capo a piedi. L'angolo della bocca fatica a non cedere, ma il movimento rapido delle narici l'ha già tradito.
-Ahmr. Si, allora eviterò di dartele di santa ragione stavolta eh? E' uno scherzo.
Mordecai annuisce soddisfatta, senza spezzare l'ombra di un sorriso. Renee inghiotte una mezza risata, mentre gli occhi blu si allargano nel riconoscere la parlata larga del proprio pianeta. Lancia uno sguardo a Mordecai, che non l'ha informato della provenienza del capitano. Riporta lo sguardo su Taylor. Indica Mordecai. Indica Taylor.
-Ahm..mma..E' di Blackro.Sei di Blackrock?
Taylor allarga un sorriso infidamente simpatico. Gli allunga la destra.
-Dalle retrovie di Oracle ah?
Bolivar si illumina come un ragazzino ed annuisce, stringendogli la mano con forza.
-Ehh.. Se avessi saputo che avremmo incontrato gente del nord..Eh. Mi sarei vestito meglio.
Taylor allarga il sorriso, respirando l'aria di casa, colpito ma non ancora affondato.
-Io sono di Spartaca.
Mordecai annuisce convinta. Taylor e Bolivar si guardano. Silenzio.
-Mi hai convocata, Capitano.
Renee fissa Thiago, a caccia di farfalle selvagge.
-Dev..Devo..
Indica il cane.
-Devo. Oehm. Prendere il cane. Eh? Torno subito.
Si allontana discreto come un bisonte delle steppe.
-Ti ho convocata, si.
-Hai disubbidito ai tuoi ordini.
-Bhe, sono i miei ordini.
-Però sto disubbidendo anche io agli ordini. E non sono i miei ordini.
-Gli ordini non valgono più, Kay. I Freedom Gunners sono stati sciolti.
C'è una caduta invisibile delle spalle. Qualche millimetro che condensa la fine di qualcosa, l'inizio di qualcos'altro, la sconfitta, la vittoria.
-Non sei più il capitano dei Freedom Gunners, Eamon Taylor.
-No. Sono il capitano del sesto Array della Confederazione.
-E tutto l'equipaggio è stato inglobato nell'Array?
-Ahm. E' una lunga storia. Diciamo che abbiamo approfittato della riorganizzazione per dividere gli elementi non compatbili.
-Avete mandato via i chinos.
Taylor sgrana un poco gli occhi.
-N..no, no no. Ci siamo divisi, ecco.
Mordecai annuisce.
-Ti hanno lasciato da solo?
Eamon incassa il pugno mentale nello stomaco, sputando un fiotto d'aria con un sorriso. Scrolla la testa.
-Sono a capo di molta gente nuova, mettila così.
-Va bene.
-..So. Ci hanno piazzati al controllo di confine fra Boyd's e Phoenix. Il Martes pattuglia i confini interni.
Il capo della minispartiana si alza verso di lui, un guizzo opacamente e discretamente speranzoso negli occhi.
-Posso tornare?
Taylor sgrana un poco gli occhi. Deglutisce, indietreggia di un passo come se potesse sfuggire a tutte le aspettative appese nello sguardo del medico. Si gratta la testa. Guarda la figura di Bolivar agitarsi in lontananza.
-No, soldato Adler.
Bofonchia dopo qualche istante fissandosi le scarpe.
-Cosa?
-Ho detto di no, soldato Adler.
Preme sulla voce una severità fin troppo sforzata, appendendoci parole prima che Mordecai possa replicare di nuovo.
-Voglio che porti al tuo capitano le coordinate e le chiavi d'accesso della base di Embla.
Le spalle del medico si sono irrigidite. Lo sguardo continua a scavare imperturbabile dentro la testa di Taylor, le spalle dritte e le mani ancora giunte dietro la schiena.
-Agli ordini, capitano Eamon Taylor.
Il capitano Eamon Taylor guarda con fermezza oltre le spalle di Mordecai e sfila la borsa, porgendola alla donna. Lei riceve, la sistema sulla spalla sottile, fissandone gli occhi sfuggenti.
-Non sono..Sicuro delle condizioni. Potrebbe essere inservibile. Potrebbero volerci troppe riparazioni. Sono.. Bhe, lo sai. Sono due anni che non ci mettiamo piede.
-Dopo Lee Hayes.
Eamon Taylor digrigna i denti, nemmeno Mordecai fosse munita di guanti da boxe invisibili. Annuisce.
-Dopo Lee Hayes.


 Il silenzio stagna come una coperta troppo pesante forzata addosso una calda notte d'estate.
-Riferirò le coordinate e consegnerò le chiavi d'accesso della base di Embla al capitano Jack Rooster.
Annuisce, tranciando i fili ancora appesi fra una mano e l'altra, fra una mente e l'altra. Indietreggia di un passo, imitata da Anchorage e dal suo sguardo sperso. La mano vola alla fronte, il tacco destro sbatte contro il sinistro.
-Orders!
Ma di altri ordini non ne arrivano. Resta la caraffa di parole ingoiate a forza e ricacciate sotto le costole.
-Free to go.
Eamon Taylor indietreggia di un passo a sua volta. Osserva la figura lontana di Renee.
-Saluta..il tuo amico.
Non le lascia il tempo di rispondere. Volta le spalle e ripercorre la sua porzione di canyon, cercando di allungare i metri di polvere fra sè ed il medico. Mordecai ne osserva la sagoma diventare sempre più sottile, ed infine ondeggiante.
-L'ho preso!
La voce di Bolivar la porta a voltarsi verso il rocker, che sta tornando sbrodolante dal fume, Thiago altrettanto fradicio fra le braccia.
-Ancora..ancora tipo.. due.. e poi c'erano le rapide!
Ansima sorridente, fiero del salvataggio. Lo lascia a terra, ed il botolo gli si scrolla addosso prima di fiondarsi verso Adler. Renee si scrolla, e solo quando ha fermato la testa s'accorge della sparizione del capitano Taylor. Fissa il medico in modo interrogativo, apre la bocca ma prima che possa parlare Mordecai ha già deciso la loro condanna per le ore a venire.
-Andiamo a pulire la Almost Home, adesso.
-Uh..
Bolivar allunga un paio di passi macinando così i quattro che Mordecai già ha consumato per tornare verso la nave.
-Cos.. Cos'è quello?
Bolivar indica la borsa.
-Te lo dirò domani, Renee Bolivar. Ora pensiamo a quali aree della nave hanno bisogno di essere pulite accuratamente.
Bolivar ne fissa il profilo. Non replica. La affianca e si trova ancora una volta gomito contro spalla, la faccia rivolta nella stessa direzione, camminando verso casa.

Saturday 13 July 2013

Building bridges, burning hope



Idaho, Spartaca, agosto 2497

I granelli di buio soffiati dal crepuscolo galleggiano nell'aria fredda della steppa. Idaho è l'ultimo avamposto prima del desterto. Dove l'erba si dimentica le radici, e procede rotolando, frantumandosi in licheni dalle mascelle strette e, infine, nel nulla. Villa Adler è in cima alla collina. Il salotto invernale dà sulla cittadina, attraverso vetri opachi che confondono la presenza di anime. Quello estivo espande le grandi vetrate e la veranda in direzione di Atacama, dove il vento grida preghiere di sabbia. La porta dello studio di Clara Adler, adiacente al salotto estivo, è stata aperta da poco. Un uomo in completo elegante, una cravatta di seta come un cappio intorno al collo, ne è uscito poco prima con il viso nero.


 Alcuni istanti di silenzio, quindi anche Clara esce dallo studio, richiudendosi la porta alle spalle. Il viso fiero è lievemente affaticato, e le mani sono percosse da un tremito nervoso discreto ma costante, mentre tenta più volte di accendersi una sigaretta con un fiammifero troppo corto. Un respiro nervoso, carico di ringhi repressi. I fili di tabacco s'illuminano come lava, ed il primo sbuffo di fumo le si sfila dall'angolo della bocca. Solo quando solleva gli occhi s'accorge che Mordecai, seduta sul divano vicino alla vetrata, la sta fissando da quando è uscita. Le labbra si distendono lievemente mentre la raggiunge e si siede, senza sfiorare la nipote. Anche quando scivola in una posizione comoda lo fa in modo composto, austero. Non guarda la ragazzina mentre parla, ma studia, fra una boccata e l'altra di catrame, l'orizznte frastagliato che precede le steppe intrise di niente.
-"Quell'uomo si chiama Ethan Chrysler."
Spiega, mentre il fumo risale per alcune spanne, prima di iniziare a disperdersi in una cortina di nebbia sopra le loro teste.
-"Ha offerto una grandissima somma di denaro per comprare la fabbrica. Ha fatto pressione  parlando della mia assenza da Helena, e di una presupposta cattiva gestione degli impianti."
Le labbra sembrano muoversi in modo meccanico, sconnesso dal resto del volto. Il modo in cui gli occhi si piegano con commozione alla luce della notte in arrivo potrebbero far pensare che stia recitando una delle poesie sacre. Gli occhi della ragazzina che ha accanto ma mai vicina, s'arrampicano per le rughe lievi che segnano i contorni della bocca della nonna.
-"Hai accettato, Grandmother?"
-"No, Mordecai. Non ho accettato."


 Clara s'allunga in avanti, a portare più vicino a sè il grande posacenere di marmo. Non libera la sigaretta dalla lunga colonna di cenere che precariamente s'ingrandisce, però.
-"Bisogna pensare al futuro, Mordecai. Ogni granello di sabbia che spostiamo oggi, può diventare una valanga micidiale fra dieci anni."
Le mani della ragazzina si tormentano in silenzio, le ossa pochi millimetri sotto la pelle. Le sopracciglia si spostano sotto la forza di terremoti repressi, lo sguardo s'allontana dalla nonna ma vi torna inesorabilmente. Non risponde. She knows better.
-"Ventitre anni fa, mi trovavo su Shadetrack, Mordecai, nell'Husìa Estate. Mister Bartflow mi aveva accompagnata per le piantagioni di tabacco in carrozza, e s'era appena concluso un pomeriggio delizioso ma affaticante. Avendo biogno di un poco di solitudine, mi allontanai dalla villa, in direzione del fiume. Poco distante dal ponte che portava verso Santa Linda, era seduto un uomo anziano, dall'abbigliamento povero e trasandato, e dal forte odore di whisky. Nonostante l'aspetto, i suoi occhi erano fieri, ed aveva le spalle dritte di dignità, sopra la schiena curva di chi ha lavorato tutta la vita. Lo avvicinai, incuriosita."
La sigaretta sul bordo del posacenere, la cenere non è ancora crollata. La riavvicina alle labbra, nemmeno avesse dimenticato che la forza di gravità potrebbe, da un momento all'alto, spocarle l'elegante abito color crema. Ne succhia un tiro profondo, analizzando il modo in cui le linee dell'orizzonte vengono inghiottite dalla notte.
-"Il suo nome era Tobias Varales. Aveva lavorato per quarant'anni come traghettatore, trasportando persone, bestie, bagagli da una parte all'altro dell'Aprendìo, il fiume che attraversa l'Husìa. Un giorno, mister Bartflow l'aveva raggiunto per discutere di affari. Gli aveva proposto di trasportare per lui, da una parte all'altra del fiume, cinquanta carichi di pietra. L'avrebbe pagato cinquecento pesos. Tobias Varales si rese conto immediatamente che si trattava dell'affare che avrebbe permesso ai suoi figli di andare a scuola, a sua moglie di comprare quell'abito buono il cui aquisto era stato rimandato per sette anni, di andare a vedere suo fratello a Sweet Waters."
La sigaretta torna al posacenere, consumata fino al filtro, una colonna di cenere che sembra aver piantato gli artigli contro ogni regola fisica. Nel momento in cui le dita di Clara Adler la lasciano, tutto si frantuma, si polverizza.
"Tobias Varales lavorò tutto l'inverno, e tutta la primavera, caricando, trasportando e scaricando enormi blocchi di pietra nella sua barca. Piú volte dovette interrompere il lavoro, per fermarsi a riparre le falle causate dal carico eccessivo. Alle porte dell'estate, aveva completato il lavoro. Ricevette i cinquecento pesos e ringrazió il buon Dio. Pochi giorni dopo, il buon Dio gli voltò le spalle, e Bartflow iniziò la costruzione del ponte. Sette mesi dopo, Tobias Varales non aveva più un lavoro. Bartflow non ne aveva da offrigliene, e lui, d'altro canto, non sapeva far altro che faticare e remare. La moglie lo lasciò, portandosi via i due figli, uno dei quali malati di tubercolosi. Tobias Varales si attaccò alla bottiglia, e non la lasciò più."
Clara Adler giunge le mani in grembo, raddrizzando le spalle, nemmeno fosse una guerriera d'argento pronta ad affrontare il buio denso fuori dalle vetrate.
"I sentieri non sono come le strade, Mordecai. Le strade vengono tracciate da persone potenti, che decidono dove la loro gente deve camminare. I sentieri sono tracciati da chi li calpesta. Più uno li sceglie, più diventano giusti. Mi ricordo da dove vengo, e seguo il sentiero."
Conclude, alzandosi in piedi, il lungo abito color crema che sembra modellato sul suo corpo di dea greca, fermo e più solido che mai alla soglia dei sessant'anni.
-"Presentati puntuale a cena."
Le ricorda, senza allungare gesti d'affetto o tessere scomode ragnatele nell'aria pulita di Idaho. Si volta, e lascia la ragazzina sola con la notte.

As clouds fly, so we run




Il vento bombarda la terra di Atacama, liberando fiori di polvere senza radici. Le corolle si snudano fra le zampe dei cavalli selvaggi, tenuti fermi a forza di colpi di nervi. Heejo è un selvaggio del Takla Makan, dal manto color del piombo e occhi densi di libertà, quel nero liquido che spezzerebbe ogni catena. E' stato strappato alla sua sabbia bianca e conquistato da una ragazzina silenziosa ed assente, che sembra accendersi solo quando i suoi nervi fanno contatto con quelli di una bestia. Tennessee Miller tiene le radici di Kathan, un wild catturato vicino alla Mano. Il suo manto è bianco e gli occhi bruciano di forza irrefrenabile, olio pronto a prendere fuoco. Come sincronizzati dai colpi di vento, i due ragazzini alzano la testa verso il cielo. Le nuvole si sfilano, si deformano, viaggiano a centinaia di chilometri all'ora, volano come aquiloni fantasmi, persi dalle anime che popolavano Spartaca centinaia di anni fa, prima che la guerra distruggesse ciò che rimaneva dei sogni, quando le persone ancora erano umane. Draghi, leoni, balene e profili, bestie sconosciute e forme geometriche volubili volano sopra la testa di Mordecai e Tennessee lasciando cadere sulla terra mostri d'ombra, chiazze di freddo e pace. La prossima bestia buia sta arrivando dietro di loro, viaggiando come una nave invincibile sulla polvere sottile del deserto. Il gioco si chiama As they fly, so we run


 Gli occhi dei ragazzini si incrociano. Quelli di Miller esplorano il volto perennemente marchiato od un poco tumefatto di Mordecai. Solo una settimana prima il suo occhio nero aveva finito di sbiadire per essere riassorbito nell'impassibilità, ora porta un livido giallognolo vicino alla mascella. Miller non c'è mai quando dovrebbe esserci. Se ne assicurano sempre, gli altri. Eppure non c'è accusa nello sguardo liquido della ragazzina. La paura e la rabbia vi passano alla rapidità con la quale le nuvole attraversano il cielo di Atacama. Lei schiva quello che può. I respiri di entrambi sono strattonati dall'attesa. Calcolano, a denti stretti. Miller stringe un sorriso fra i suoi. Uno lieve, quasi impercettibile. Adler manovra una lama di luce fra gli occhi. L'ombra scivola oltre la cima del piccolo colle dietro di loro. Un cenno rapido del capo, a narici allargate. I polpacci ed i talloni, sincronizzati da un burattinaio perfezionista, sbattono nei fianchi di Heejo e Kathan. I cavalli si liberano dalla presa dell'immobilità, e si schiantano in una corsa contro l'aria, le particelle di acqua sospese nel cielo bruciato di Atacama, il vento, il tempo. Vince chi evita l'ombra.

Thursday 11 July 2013

In the beginning




Frankfort, Spartaca, 5 giugno 2506

La notte ha cancellato le tracce, ma anche un cieco se ne accorgerebbe: l'università medica di Frankfort è vuota. Così come l'accademia militare, e le case, e le strade. Sembra che la guerra sia già passata, mietendo vittime e spargendo fantasmi al posto di cadaveri come un tornado furioso. Eppure non c'è traccia di sangue, nè bossolo esploso. Nelle stanze degli studenti, sono ancora sparsi fra le brande filo da cucito e frammenti di stoffa rossa. Nelle caserme, ci sono resti di olio nero e grasso per scarpe a terra. Ogni guanto di cuoio è stato sottratto al solito gancio, ogni divisa è sparita. 

Hanno gracchiato i neri corvi
Largo spazio a tremende sciagure
                                Sergej Esenin

Il corteo ha percorso la memoria del deserto, scivolando lungo l'ultimo dei canyons freddi, dimenticando le luci della città. Le fiamme delle torce hanno danzato con il vento gelido, e si sono trasformate da fiume in lago e da lago in pozza, densa di luce e profonda quanto la distanza che li separa dalla vittoria. Mordecai rallenta, come rallentano i passi di migliaia di spartiani. Spalla contro spalla con Tennessee Miller, i loro volti sono stati azzannati dal buio. Segni di pittura nera sotto gli occhi contengono le ultime parole di sicurezza, i codici per accedere direttamente all'inferno passando per le pupille.

E al rombo dei tuoni cade in frantumi
La volta celeste. Brandelli di nubi
Avvolgono il bosco. Su festoni d'oro fino
Hanno oscillato le lampade del firmamento
                                Sergej Esenin


I tamburi battono il ritmo del terrore per un popolo che non sa parlare. Per una generazione che vede il proprio futuro andare in fumo e non fiata. Per chi ha impugnato armi per tutta la vita ma deve combattere per la prima volta. I tamburi battono il ritmo dell'ago che ha cucito le croci rosse sulle schiene dei cappotti marroni, delle spazzole ispide che hanno tirato a lucido gli stivali, delle preghiere sussurrate da chi non crede in se stesso. Colpo dopo colpo dopo colpo dopo colpo, risuonano nei cuori dei soldati, dei medici, dei falconieri, dei meccanici. Si sostituiscono allo sforzo muscolare, li illudono di essere invincibili ed immortali, connessi universalmente al battito di un solo grande tamburo: il cuore di Spartaca. Nel cielo ancora intriso di buio, un cerchio di sagome nere diventa più e più definito: la spirale di ombre volanti si allarga sopra il raduno, i battiti di ali scanditi dal ritmo degli umani. I falchi e le aquile aspettano gli ordini, perchè la gerarchia spartiana è più potente della forza di gravità. E' così che nella notte si levano le grida di tremilasettecendo soldati nella valle di Aran, i pugni al cielo ad incontrare il guizzo di luce di Columba che, fra la polvere ed il sapore dell'insesorabile, sparge fra le steppe il colore del primo giorno di guerra.



Tuesday 9 July 2013

Your rocky spine

Raccontano di un soldato che è tornato a Serenity a cercare le proprie piastrine nella polvere, dopo la guerra. Un soldato biondo, dal cuore scuro. Raccontano di come il vento ha cancellato le sue tracce nella cenere come una serva efficiente, di come le ha pulite asciugando i contorni della memoria. Raccontano di come fosse seguito da un minuscolo soldato biondo dalla testa rasata, una grossa croce rossa sulla schiena, e di come nemmeno il silenzio sarebbe mai riuscito a restare così zitto.

Il plotone di Spartaca è andato in guerra a testa alta, privo dell'unica arma utile alla sopravvivenza: la pietà. Soldati cresciuti indossando armature così strette da fondersi con la pelle, imparando che non si può scusare nessuno: tanto meno se stessi. Un soldato minuto, dalle spalle sottili, non ha retto il peso della propria armatura, ed è caduto in ginocchio. E non possiede pietà, ha le tasche piene di cenere. Cenere caduta ovunque. Il ricordo degli avenger nel cielo rossastro si trasforma in fantasmi solidi che precipitano a terra, polvere sotttile, polvere di fuoco. Tutto in fumo.


Eamon Taylor si avvicina a Mordecai Adler, seduta sull'ala del brigade Martes. Possono vedere tutta Serenity Valley, o quanto ne è rimasto. Le si siede accanto, una gamba contro il petto, una allungata lungo il metallo della nave da guerra.

-Ho qualcosa per te.
Mormora, senza guardarla. Gli occhi azzurri di lei sono inchiodati sul suo profilo, in attesa, le narici frementi di curiosità. Lui si volta, e la fissa. Gli occhi chiari sembrano uno specchio di quelli della spartiana. Sorride, senza nemmeno dover sforzare le labbra. La mano sale al suo volto, lentamente. Il pollice ne sfrega lo zigomo, più volte, con dolcezza. Poi le spalle larghe si raddrizzano, prende il fiato che serve al discorso.
-Ti perdono per aver perso questa guerra, Mordecai Adler.
Quindi distende le scapole, e rilassa gli angoli della bocca, scostando uno sguardo fremente, stanco.
-Chiarito questo, let's take back this world.

Saturday 6 July 2013

Gracious tide, take me home




Mordecai Adler respira il silenzio della Sickbay. Cristobal giace ancora addormentato sul letto d'operazione, fasciato, pulito. Le mani sono percorse dalle piccole scosse nervose post-operatorie, dovute allo sforzo prolungato. Cammina fino al lavandino, riempie un bicchiere d'aqua, ribalta il capo indietro e lo svuota lentamente, con gli occhi aperti. Dormono tutti. Dorme Jack, che si è allontanata dallo sguardo fantasma di Oxossi ma non dalla Sickbay, perchè non c'è parete di metallo che tenga. Mordecai le ha sistemato una coperta addosso ed una dietro la nuca, ed ha spento il cortex dopo l'ultimo servizio sui tunnel sotterranei della penisola di Tarney, su Whitmon. Dorme Sam, fuori dalla porta, dopo aver riguadagnato i tre metri che s'è conquistato, le mani intaccate dal sangue di una persona amata. Dorme André, accasciato su una sedia, ogni angolo a sporgere sfrontato sotto la pelle. Mordecai posa il bicchiere d'acqua, e gli si avvicina lentamente.
-"André Vandoosler."
Tenta.
-"Dieu, pigne di sangue...sangue..aghi..scoiattoli, la morte!"
Il medico aggrotta le sopracciglia.
-"E' uno scherzo ironico?"
-"La guerra delle bionde..mmh..Sette, otto, otto e venti... muoiono tutti...lo....lo..lo zucchero!"
-"Stai di nuovo parlando delle sirene di Whitmon, solo che non ci sono sirene, André Vandoosler?"
-"Le balle di fieno. Putain... le balle di fieno, volano. Ovunque..No, no! no.. non gli aghi"
André si contorce nel sogno, le parole vengono sputate fuori in grumi sconnessi, distruggendo ogni parvenza di senso, o solo frantumandola ulteriormente.
-"Si."
Si risponde da sola, il medico, sfiorandone la spalla. Lo scuote un poco, ma non succede niente. I polpastrelli stringono una seconda volta, ad avvertire la vicinanza delle ossa alla pelle. Ritrae la mano nemmeno si fosse scottata, e resta a lungo ad osservarlo, mentre lui continua a narrare le vicende del magico mondo di Vandoosler. Le dita tornano vicino al suo volto. Ne tocca lo zigomo. Prima in modo appena impercettible, quindi facendo più pressione. Ritrae la mano una seconda volta, lasciandola ricadere lungo il corpo. Si volta, e cammina verso gli scaffali contro la parete.

Il profilo di Cristobal Oxossi ricamato di tatuaggi riceve occhiate regolari di controllo, mentre, in punta di piedi, il piccolo medico di Spartaca recupera due coperte, su cui poggia un pacco di soluzione nutriente, ed una flebo. Ciondola con precisione in direzione di André, appoggiando tutto sopra Cristobal, che tanto dorme,  tranne una coperta. Se la infila sotto il braccio, e, con entrambe le mani, scosta un poco la testa di André, così da potervela infilare sotto, a mo' di cuscino. Sfila l'altra, lasciando che flebo e soluzione nutriente poggino direttamente sopra Oxossi. Solleva il braccio destro di André, quello meno intaccato dall'hypospray, e lo sistema sopra la coperta. Quindi si avvicina al carrello, sollevandone una stanga. Vi appende la sacca di soluzione nutriente, lasciando il tubetto gommoso pendere fino all'altezza della mano di André. Scarta la punta dall'impacco sterile, e, studiando con occhi attenti il sentiero delle vene del tracker, ve la infila dentro in un movimento fulmineo, ma delicatissimo. Vandoosler si smuove appena, agitandosi in un sogno che viene bombardato dall'esterno. Qualcosa sulle pigne che fanno male, e sulle balle di fieno che prendono fuoco per aria. Il medico aspetta, fissandone il viso in silenzio. Quando sembra essersi calmato, connette la punta al tubetto, attivando la flebo. Il liquido inizia la sua discesa inesorabile verso le vene di Vandoosler, a mescolarsi alla switch, agli incubi, alla paura, alla colpa. Liquido pulito, cristallino quando le iridi impietose di Mordecai Adler. Indietreggia di qualche passo, restando a fissarlo. Conta le gocce, perchè rilassa la testa, e la pulisce, un po' come fa con il sangue di André. Il tatuaggio si è fatto più presente. Come se sulla schiena portasse il fantasma pesantissimo di Silke, e non solo una sua immagine. Accade ogni volta che ne parla, ogni volta che la ricorda. Ma non smetterebbe mai di farlo. Solo quando la sacca è vuota sfila la punta dal braccio di André, ed allontana la stanga della flebo. Solleva il suo braccio dalla coperta, che dispiega. Deve alzarsi in punta di piedi perchè il fondo non tocchi terra. La sistema addosso al tracker, coprendolo come un campione di corsa ai sacchi. Annuisce soddisfatta, lo sfiora sulla testa, se ne torna verso la branda. Un'occhiata all'orologio appeso alla parete: un quarto alle cinque del mattino. Ancora dieci minuti, e Renee comparirà per parlare di aquile e falchi. Si siede, gli occhi ricadono con sorprendente inesorabilità su André. Respira a labbra socchiuse.
-"André Vandoosler, sai qual'è il colmo per un pistolero di Shadetrack?"
-"Il fum..Il fumo si disintegra.. e le..le pigne bruciano. E muore il sangue. Mh. Dieu, il sole manda in fiamme le.. anime. Tutto. Dieu, bon dieu."
-"Te lo racconto domani, allora."

You wanted a piggyback
Well I lost my spine
And I dreamt of awful things
Like company and physical interaction

When you went missing
Well I looked almost everywhere
I sailed the seas
You were never even there
You were never even there
No you were never even there
No you were never even there

Thought I'd see you next night
You were nowhere to be seen
And of course that's probably best
Cus it wasnt such a nice dream

When you went missing

Well I looked almost everywhere
I sailed the seas
You were never even there
You were never even there
No you were never even there
No you were never even there